La Stampa, 18 novembre 2018
Gli Stati Uniti e l’offensiva verso la Cina
A due anni dall’insediamento alla Casa Bianca la priorità per il presidente Donald Trump è il duello strategico con la Cina: emerge dalla preparazione del G20 di fine mese, condiziona i rapporti con gli alleati e ha conseguenze anche per l’Italia. A muovere Washington sono tre ordini di considerazioni presenti nei dossier preparati per il presidente in vista del summit di Buenos Aires.
Primo: la Cina ha sfruttato l’adesione al Wto – l’Organizzazione mondiale del Commercio – per penetrare ed insediarsi sui mercati senza rispettare le regole della concorrenza e della proprietà intellettuale, trasformando così la globalizzazione in un gigantesco trasferimento di ricchezza a proprio vantaggio.
Secondo: la parte più avanzata e pericolosa di questo processo di penetrazione cinese sono le nuove tecnologie, dall’intelligenza artificiale al 5G, ovvero la capacità di impossessarsi dello scambio dei dati nei Paesi occidentali.
Terzo: Xi Jinping ha aggiunto a tale politica un’aggressività militare nei confronti dei Paesi vicini, con le operazioni attorno agli isolotti nel Mar della Cina Meridionale, che suggeriscono un ritorno del nazionalismo nelle forze armate.
La somma di tali pericoli costituisce la maggiore preoccupazione strategica della Casa Bianca. Ecco perché il presidente degli Usa, Donald Trump, è all’offensiva.
Confortato da una rara convergenza con l’opposizione democratica al Congresso di Washington sulla necessità di contenere Pechino – basta ascoltare a riguardo le parole di Nancy Pelosi, prossimo presidente della Camera dei Rappresentanti – ed affiancato da Mike Pompeo, il Segretario di Stato già capo della Cia e suo più stretto collaboratore.
Il maggiore impegno Usa è nella raffica di dazi bilaterali per correggere l’attuale surplus commerciale a vantaggio di Pechino ed ha già causato una flessione del pil cinese, spingendo Xi ad una maggior flessibilità negoziale. L’obiettivo di Trump è ambizioso: ridefinire la presenza della Cina nel Wto – voluta da Bill Clinton ed avvenuta a fine 2001 – per obbligare Pechino a rispettare le regole della concorrenza. A confermare questo approccio globale vi sono singole mosse regionali della Casa Bianca: dalla decisione di monitorare meticolosamente gli investimenti cinesi in ogni singolo Paese africano al recente accordo di revisione della Nafta con Messico e Canada che include clausole in forza delle quali gli Usa possono bloccare eventuali accordi con Pechino. Come dire: Trump incalza Xi ovunque può per fargli capire che la stagione del far west cinese sui mercati globali è al tramonto. E nulla sarà più come prima.
Tale approccio ha una duplice conseguenza sui temi della sicurezza. Innanzitutto il tentativo di impedire a Pechino di entrare sul mercato delle nuove tecnologie nei Paesi occidentali con investimenti tali da impossessarsi dei dati scambiati fra i cittadini. Il pericolo esiste perché la Cina punta sull’intelligenza artificiale per superare gli Usa nell’hi-tech e, in particolare, ha sviluppato una tecnologia G5 – l’Internet superveloce – in grado di competere con quella americana mentre l’Europa è molto indietro. Ciò rende possibile per Pechino ipotizzare incursioni in Occidente, come quando stava per fornire proprie reti G5 ad alcuni Stati Usa e solo l’intervento del Dipartimento di Stato di Pompeo lo ha impedito. Ultimo, ma non per importanza, c’è il teatro del più tradizionale equilibrio di potere militare del Mar della Cina Meridionale, dove Trump ha inviato la Us Navy ad effettuare manovre di monito a Pechino. È interessante notare come tanto sulla difesa delle nuove tecnologie che sulle operazioni navali in Estremo Oriente gli alleati europei più in sintonia con Washington sono Londra e Parigi. Mentre la Germania di Angela Merkel, Paese leader negli scambi con Pechino, appare sul fronte opposto perché crede come nessun altro nella necessità di aprire l’intera Ue alla iniziativa di Xi «One Belt and One Road» ovvero la creazione di imponenti infrastrutture terrestri e marine per integrare la Cina all’Europa continentale attraverso l’Asia.
È in tale cornice che si registrano alcune significative frizioni fra Washington e Roma perché l’amministrazione Usa ha visto con timore il viaggio del ministro dell’Economia Giovanni Tria a Pechino e Shanghai per corteggiare i fondi sovrani cinesi, le aperture dei Cinquestelle alla partecipazione di aziende cinesi – Huawei e Zte – alla realizzazione delle reti 5G in Italia, ed anche il progetto di consentire a Pechino di gestire in proprio l’area portuale di Monfalcone, vicino Trieste, trasformandola in una sorta di testa di ponte nel cuore del Vecchio Continente. Per avere idea di cosa preoccupa la Casa Bianca bisogna guardare ad Atene: da quando i cinesi gestiscono il Pireo con il gigante Cosco Shipping, la Grecia difende con il proprio voto gli interessi di Pechino nell’Ue ed anche all’Onu, arrivando perfino a bloccare condanne sul mancato rispetto dei diritti umani. Washington teme che Xi dopo la Grecia voglia riuscire a condizionare in maniera decisiva anche l’Italia, creando di fatto una inedita sfera di influenza nell’Europa del Sud. Tanti e tali tasselli suggeriscono come sia il rapporto con Pechino – e non con Mosca – il terreno sul quale la Casa Bianca misura i propri interessi e dunque i rapporti con gli alleati. È una sfida globale fra Trump e Xi che passa anche per Roma.