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 2018  novembre 15 Giovedì calendario

Biografia di Salvatore Buzzi

Salvatore Buzzi, nato a Roma il 15 novembre 1955 (63 anni). Criminale. Fondatore, nel 1985, della cooperativa sociale «29 giugno». «La mucca deve mangiare per essere munta» • «Buzzi non viene dalla strada, non era un delinquentello di quartiere, anche se è nato alla Magliana. […] È figlio di una maestra e di un grande invalido: a vent’anni è già in banca a lavorare. È un mestiere d’oro, in quegli anni, il lavoro in banca» (Lanfranco Carminiti). «Il 26 giugno del 1980 Buzzi ha 25 anni. Lavora in banca. Ma quell’impiego gli sta stretto. Salvatore vuole qualcosa di più, vuole fare la bella vita. È fidanzato con una ragazza brasiliana (una prostituta, hanno scritto alcuni giornali). Vivono assieme in un appartamentino dopo che Buzzi se n’è andato da casa dei genitori alla Magliana. Girano su una macchina da dodici milioni. Per mantenere questo tenore, c’è bisogno di arrotondare. E allora Buzzi che fa? Si inventa una bella truffa ai danni del suo istituto di credito. Ruba assegni, poi li passa a un complice che ha il compito di incassarli. Il problema è che il compare si rivela inaffidabile. Ha 20 anni e si chiama Giovanni Gargano. Forse per paura o forse per avidità, costui minaccia di denunciare Salvatore ai superiori. E Buzzi non ci vede più. Quel giorno, il 26 giugno, i due complici si fronteggiano. Alla fine, a terra rimarrà Gargano, ammazzato con trentaquattro coltellate. Buzzi sostiene di averlo disarmato per difendersi, e poi di aver perso la testa. Il numero dei colpi conferma la brutalità dall’assassinio. Ma forse non si tratta soltanto di un raptus, di un accesso di collera. Perché la storia non finisce lì. Buzzi cerca di far sparire il cadavere dandogli fuoco, inventa storie per sviare le indagini. Ma viene scoperto» (Francesco Borgonovo). Fu quindi condannato in primo grado a 30 anni di reclusione, ridotti poi in appello a 14 anni e 8 mesi, per omicidio e calunnia. «Io ho fatto 6 anni tutti uno dietro l’altro, poi sono uscito per decorrenza termini, poi ne ho fatti altri 2 in semilibertà e un anno e mezzo in libertà condizionata: in totale nove anni e mezzo. Sempre qui a Roma, ho fatto un Regina Coeli e poi un Rebibbia A e poi un Rebibbia penale. Tutte e tre le carceri» (a Marco Bellini). Quando era ancora detenuto in attesa di giudizio, a Rebibbia, scoprì che nell’imminenza degli esami universitari di norma i reclusi non subivano trasferimenti: coltivò allora con particolare intensità gli studi in Lettere moderne, diventando nel 1983 il primo a conseguire la laurea a Rebibbia. «“Per evitare di essere trasferito da Roma feci un piano d’esami: mi laureai in due anni e mezzo, un esame ogni 20 giorni. Stavo sempre a rompere il cazzo all’addetto del ministero. E le guardie quando m’accompagnavano ai colloqui per fare gli esami “dai, facci fare una bella figura”, e quando pigliavo trenta tutti contenti: questa è la sub-cultura carceraria. Dopo fui condannato in primo grado, passai al penale, trovai un nuovo direttore progressista e smisi di studiare, perché, invece di pigliare una seconda laurea, mi misi a fare queste cose, cooperazione, eccetera. Ma con l’altro direttore, quello reazionario, avrei preso la seconda laurea! […] Mi sono laureato in Lettere, e la tesi l’ho fatta su ‘Vilfredo Pareto economista’”. […] Com’è nata l’idea della cooperativa? “Stavamo organizzando uno spettacolo teatrale che volevamo abbinare a un messaggio da dare alla società. Per cui ci dicemmo ‘tentiamo di fare un convegno all’interno del carcere’. E ai miei tempi non è che si facessero convegni: era un’idea rivoluzionaria. Siccome avevamo un viceré [cioè un direttore carcerario – ndr] rivoluzionario, che se gli avessimo detto che volevamo andare sulla Luna rispettando il regolamento carcerario ci avrebbe risposto ‘Va bene, andate’, ci consentì di avere una serie di incontri preparatorî con deputati, magistrati, e alla fine il ministro Martinazzoli ci dette il permesso per il convegno. E noi scegliemmo un taglio basso, ancora non c’era la Gozzini: ‘la legge è questa, vediamo di fare un’integrazione con il mondo esterno partendo da un rapporto concreto col carcere’, e la proposta era quella della cooperazione. Allora uno poteva andare in semilibertà se aveva una richiesta di lavoro, ma una persona che era rimasta a lungo separata, condannata, che non aveva vincoli familiari, amicali o criminali, come poteva trovare lavoro? Pensammo che la cooperativa poteva dare una piccola risposta a questo problema”» (Bellini). «Il 29 giugno dell’84, la svolta. A quattro anni esatti dall’omicidio, Buzzi organizza un convegno nel penitenziario di Roma dedicato al reinserimento dei detenuti. Qualche giorno prima, il 25 giugno, hanno messo in scena l’Antigone di Sofocle, cui hanno presenziato il capo dello Stato di allora, Francesco Cossiga, e personalità come Pietro Ingrao. […] Al convegno si ritrovano socialisti come Giuliano Vassalli, liberali come Aldo Bozzi, democristiani come Giovanni Galloni, comunisti come Luciano Violante. C’è l’allora sindaco di Roma, Ugo Vetere, il vicepresidente della Provincia, Angiolo Marroni, padre di Umberto, il dem che Buzzi, leggendo le intercettazioni dell’inchiesta “Mafia capitale”, voleva primo cittadino al Campidoglio. Miriam Mafai gli dedica un pezzo su Repubblica» (Salvatore Cannavò e Carlo Tecce). Scrisse infatti, l’indomani, la Mafai: «Di quale delitto si sarà macchiato Salvatore Buzzi, il giovanotto bruno e barbuto che sta parlando, dal podio, della necessità di costituire, "rispettando la normativa vigente, una cooperativa agricola per la gestione della Tenuta del Cavaliere, ex proprietà Ipab, ora in gestione patrimoniale del Comune di Roma"? […] Vale la pena di condividere per un giorno la "piccola grande utopia" di questi colpevoli di reati comuni, che vogliono decidere di se stessi anche nel luogo in cui ognuno può perdersi definitivamente. È un segnale di ottimismo e di fiducia nella democrazia quello che parte da qui, da coloro che Luigi Turco, direttore di Rebibbia, ha chiamato con felice espressione "i cittadini di questo istituto, educatori e detenuti". Parte da qui, cioè, il segno di una positiva inversione di tendenza, dopo l’arretramento della coscienza giuridica che ha contrassegnato gli anni dell’emergenza e della lotta contro il terrorismo. Forse è possibile riprendere le fila di quella riforma carceraria che venne approvata nel lontano 1975 e che ha conosciuto poi disapplicazioni e torsioni autoritarie». La cooperativa, denominata proprio in ricordo di quella giornata «29 giugno», «riuscimmo a costruirla nell’85, e grazie al vicepresidente della Provincia di Roma [Angiolo Marroni, all’epoca vicepresidente e assessore al bilancio della Provincia di Roma per il Pci – ndr], che ci dette commesse di lavoro a Torrita Tiberina, sulle strade provinciali, senza gara, dato il grande valore sociale dell’iniziativa, riuscimmo a fare uscire 10 detenuti per lavoro esterno, ma con l’art. 21, […] rivoluzionandolo, nel senso che prima i detenuti uscivano dal carcere per fare 100 metri, noi li mandammo fino a Civitavecchia. Gli spazi si allargavano. Cercammo altri lavori, e mano a mano siamo riusciti a coniugare l’aspetto solidaristico, quello cooperativistico e quello economico, perché 2 più 2 deve far 4 pure per noi». «La “29 giugno” nasce a metà anni ’80, nel clima di rinascita democratica che accompagnava nelle carceri la fine dell’emergenza. Sono gli anni di Nicolò Amato direttore del Dap. […] La proposta di una cooperativa mista di detenuti comuni, come Buzzi, e politici, come la tesoriera Bugitti, ex Br, è un esperimento pilota di risocializzazione, impensabile sino a poco prima. Sponsor dell’operazione è Angiolo Marroni. […] La cooperativa decolla con l’attivissimo sostegno di Marroni e grazie alla legge del 1991, che permette l’assegnazione diretta degli appalti, senza gara, alle cooperative sociali. È una legge ragionevole: cooperative di ex detenuti o di ex tossicodipendenti non potrebbero altrimenti competere con le aziende private. Ma è anche una legge con un versante pericoloso, perché rischia forte di diventare, col tempo, uno dei veicoli privilegiati della clientela, specialmente quando questa, a fine millennio, esplode nelle realtà locali. Buzzi, […] poi graziato nel ’94, è un tipo energico. La “29 giugno” diventa presto non solo un modello di risocializzazione, ma anche il fiore all’occhiello della cooperazione sociale. Buzzi vive ed è immerso fino al collo nel mondo del centrosinistra romano. Lo conoscono tutti, lo stimano tutti. A un certo punto però, parte nell’amministrazione Rutelli, parte in quella Veltroni, la “29 giugno” si allarga. Si fa consorzio, si trasforma in una potenza a Roma e non solo a Roma. Buzzi diventa uno dei principali punti di riferimento della cooperazione sociale e della Lega delle cooperative nella capitale. […] Quando arriva al potere capitolino, Alemanno parte in quarta, deciso a far fuori la cooperativa rossa, e delibera di conseguenza. Ci sono proteste, manifestazioni al Campidoglio per mesi. Ma probabilmente Buzzi cerca anche una via privata per riconciliarsi con i nuovi egemoni, e la trova in Massimo Carminati. […] Neofascista, sì, ma di tipo più superomista che altro. Il suo obiettivo nella vita era “trasgredire tutte le norme del codice penale”, come raccontava ai compagni di classe Fioravanti, Anselmi e Alibrandi. Poco dopo quelli daranno vita ai Nar. Lui no: se ne tiene fuori, ma in buoni rapporti. […] “Il Nero” piaceva molto a uno dei principali boss della Magliana, Franco Giuseppucci, “er Negro”, che lo aiutava a far soldi investendo a strozzo i proventi delle rapine e in cambio gli chiedeva qualche favore, secondo i pentiti piuttosto sanguinoso. Ma neppure nella Magliana Carminati è mai stato organico, come non sembra sia oggi neppure nella camorra, con cui pure avrebbe frequenti rapporti. È un solitario: conosce, ha buoni rapporti, ma si tiene sempre un passo fuori. Un po’ grazie alle manifestazioni di protesta, un po’ grazie ai buoni uffici del nuovo amico, la “29 giugno” torna in auge. Alemanno rinuncia all’offensiva, ritira la delibera. La famosa foto con Poletti è stata probabilmente presa proprio nel corso della “cena di riconciliazione”. Il resto è scritto, anche se andrà verificato, nell’ordinanza della Procura di Roma» (Andrea Colombo). Il 2 dicembre 2014 Buzzi fu arrestato, insieme a Carminati e ad altri trentacinque presunti sodali, nell’ambito dell’inchiesta «Mondo di mezzo», poi comunemente denominata «Mafia capitale», riprendendo le parole del procuratore generale di Roma Giuseppe Pignatone: «Con questa operazione abbiamo risposto alla domanda se la mafia a Roma c’è. Nella capitale non controlla la città un’unica organizzazione mafiosa, ma diverse. Oggi abbiamo individuato quella che abbiamo chiamato “Mafia capitale”, romana e originale, senza legami con altre organizzazioni meridionali, di cui però usa il metodo. Nello specifico, alcuni uomini vicini all’ex sindaco Alemanno sono componenti a pieno titolo dell’organizzazione mafiosa e protagonisti di episodi di corruzione. Con la nuova amministrazione [la giunta di centrosinistra insediatasi nel 2013 e guidata da Ignazio Marino – ndr] il rapporto è cambiato, ma Massimo Carminati e Salvatore Buzzi prima del voto si dicevano tranquilli chiunque vincesse le elezioni». «La “cupola” della capitale ha un volto affaristico che, a un occhio inesperto, potrebbe sembrare innocuo e persino benefico. Servizi di raccolta differenziata dei rifiuti, manutenzione delle piste ciclabili e accoglienza degli immigrati e delle madri single. In realtà, gli appalti concessi dal Comune di Roma e dalle cittadine sono la sostanza del “romanzo criminale” scritto da Massimo Carminati e dal suo braccio destro Salvatore Buzzi. Tutto ruota attorno alla Cooperativa 29 giugno, che rappresenta il centro di un impero criminale. I rami si chiamano: 29 giugno Servizi, Formula Sociale, Eriches 29, Crd Immobiliare, Sarim Immobiliare, Crisalide, 29 Energy Green Sial e Rogest. A queste si aggiunge la partecipazione a diversi consorzi tra i quali Raccolta Differenziata Roma, Raccolta Differenziata Roma Due e Formula Ambiente» (Gian Maria De Francesco). «Non sono solo le intercettazioni della Procura di Roma a svelare la forza della sua cooperativa, la “29 giugno”, ma lo stesso bilancio del 2013. Da cooperativa sociale per il recupero degli ex detenuti la realtà si è trasformata in una holding di servizi in grado di interfacciarsi con primarie realtà del mondo finanziario italiano: da Unipol fino a Intesa. Tutto grazie alle collusioni con la politica e alla copertura di un boss come Massimo Carminati. Nel 2013 il gruppo “29 giugno” ha conseguito un fatturato di 58,8 milioni di euro, con un incremento annuo del 26,5 per cento. I principali campi di attività sono tre: raccolta dei rifiuti (39% dei ricavi), gestione centri di accoglienza con la consociata Eriches 29 (26%), cura del verde (13%). La formula cooperativa ha consentito di ottenere un buon margine, circa 6 milioni di euro e un utile netto di 3 milioni. Cifre che hanno portato il patrimonio a 15,3 milioni» (De Francesco). Controverso l’esito del processo, giunto finora al secondo grado di giudizio: se, infatti, nel luglio 2017 il Tribunale di Roma condannò – tra gli altri – Carminati a 20 anni di reclusione e Buzzi a 19 per reati legati alla corruzione senza l’aggravante mafiosa, nel settembre 2018 la Corte d’appello di Roma ha invece diminuito le pene, portandole a 14 anni e 6 mesi per Carminati e 18 e 4 mesi per Buzzi, riconoscendo però anche l’aggravante mafiosa • Divorziato; una figlia dall’attuale compagna • «Noi non sfruttamo nessuno, noi semo gente de sinistra». «Essere di sinistra non equivale ad avere piccole dimensioni di struttura, ma tentare di redistribuire ricchezza equamente. Essere di sinistra equivale a creare impresa» • «Buzzi, in sostanza, era un imbroglione che non aveva esitato a uccidere in modo anche efferato e che, quando si trovò dietro le sbarre, seppe calarsi perfettamente nella parte, divenne il punto di riferimento dei detenuti di Rebibbia, il testimonial vivente della bontà della legge Gozzini, il fondatore di una cooperativa che avrebbe messo in pratica l’utopia costituzionale del reinserimento dei detenuti, l’uomo che aveva saputo studiare e riscattarsi, ricevendo pubblici riconoscimenti di parlamentari e dirigenti della sinistra e dell’associazionismo cattolico che si battevano da anni per i diritti e il reinserimento dei detenuti. Il resto della storia la conoscete, ma l’inabissamento, va detto, gli è riuscito alla perfezione. La domanda che molti si pongono è come sia possibile che un uomo che era finito dietro le sbarre non solo per omicidio, ma anche per truffa, al netto della condanna già scontata, possa arrivare a controllare un giro d’affari di soldi pubblici e appalti per 60 milioni di euro annui» (Paolo Papi). «Secondo me questa storia della cupola mafiosa a Roma è una bufala. Una supercazzola del tipo Amici miei (indimenticata commedia di Mario Monicelli, 1975) nella versione “camerati miei”. Roma pullula come tutte le grandi città di associazioni per delinquere, e le risorse pubbliche, scarsine, sono appetite da piccoli medi e grandi interessi (questi ultimi in genere sono al riparo dalle inchieste): ladri, ladruncoli, millantatori, politicanti, funzionari corrotti e cialtroni vari sono un po’ dappertutto (Roma è il teatro degli Er Più de borgo, uomini d’onore all’amatriciana), ma trasformarli in una “mafia”, precisando che è “originale”, “senza affiliazione”, e farne un “sistema criminale” simile alla piovra, in un horror movie che si ricollega alla banda della Magliana, andata in pensione parecchi anni fa, è appunto una colossale bufala. […] Insomma, la Corleone dei “cravattari”» (Giuliano Ferrara) • «Gli ho spiegato, gli ho parlato in francese stretto, ho detto: “Senti, o è ‘sì’ o è ‘no’: non ce poi rompe il cazzo così, eh”» (alludendo a una conversazione con un dirigente capitolino riluttante). «Ma tu sai le persone che io c’ho a stipendio? Non c’hai idea. Pago tutti, pago». «Tu c’hai idea quanto ce guadagno, sugli immigrati? Eh? Il traffico di droga rende de meno!».