La Stampa, 7 novembre 2018
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Biografia di Sebastian Kurz, con intervista. «La crisi è colpa di chi non chiudeva i confini»
Quando esco dalla cancelleria federale, faccio notare a Sebastian Kurz quanto sia strano che gli austriaci possano ancora fumare nei luoghi chiusi. Arrivando all’aeroporto di Vienna ti colpisce la puzza dei posacenere pieni e poco svuotati. «Ah», dice il cancelliere austriaco, più concitato per questa questione che durante l’intervista, «questa è una domanda interessante!».
L’Austria avrebbe dovuto intraprendere una riforma anti-fumo come negli altri Paesi della Ue, prima che il partner di coalizione di Kurz, il Partito liberale guidato dal fervente fumatore Heinz-Christian Strache, bloccasse tutto. «È spesso la sinistra che vuole mettere al bando tutto ciò che non fa bene alla salute», dice (da non fumatore, lui che odia i ristoranti con l’aria viziata). «E invece cosa pensa del progetto di Orban?», aggiunge. La destra estrema del primo ministro ungherese vuole creare il primo Stato «senza tabacco», impedendo a tutti i nati dopo il 2020 di fumare. «Perché la sinistra non loda Orban?», chiede Kurz, e gli occhi gli si illuminano. Il tema del fumo dimostra come il cancelliere considera se stesso e come vuole essere visto: post-ideologico, pragmatico, maestro di «realpolitik», non una «bandiera nel vento» (espressione austriaca). Invece, a 32 anni, il leader più giovane del mondo è stato soprannominato «un Orban con i vestiti di Macron» o un «Donald Trump in abito slim-fit» e il più pericoloso politico austriaco nato negli ultimi 70 anni.
Nulla di fuori posto
Ben prima che il suo Partito popolare (conservatore cristiano-democratico) vincesse le elezioni un anno fa, Kurz era noto per la linea dura sui migranti. Nel 2015, quando Angela Merkel aprì i confini della Germania a un milione di rifugiati, circa 100 mila di loro si stabilirono in Austria. Kurz, all’epoca ministro degli Esteri, è stato determinante per il blocco della rotta balcanica, annunciando una nuova Europa, più chiusa. Poi, ha portato al governo il Partito liberale, arrivato terzo alle urne, fondato da ex ufficiali delle SS e famigerati ragazzotti che intonano conviviali canti razzisti nel bosco, e questa è stata considerata la conferma di un’Europa che virava a destra. Ma non c’è nulla di ferocemente populista o fuori posto nei discorsi politici di Kurz; lui ostenta modi formali da austriaco, dà la mano con un piccolo inchino. Viene da una famiglia cattolica della middle-class di un modesto sobborgo di Vienna. Sua madre è un’ex insegnante di Storia, suo padre un ingegnere che, a 50 anni, ha perso il lavoro per un anno. Kurz ne aveva 18 e ha cercato un lavoro per aiutarlo.
Quando aveva 6 anni, sua mamma Elisabeth, mossa da un video toccante sulla guerra in Bosnia, ha invitato una famiglia di rifugiati a trasferirsi nella loro casa di villeggiatura a Zogelsdorf, in Bassa Austria. Ma l’infuenza più significativa sul giovane Kurz l’ha avuta la nonna materna, Magdalena Müllerm, che oggi ha 90 anni, che a 16 è scappata da quella che oggi è la Serbia, durante la Seconda Guerra Mondiale. «La nostra famiglia sa cos’è la guerra», dice il cancelliere. Precoce appassionato di politica, a 16 anni ha provato a iscriversi alla sezione locale della Volkspartei, è stato respinto perché troppo giovane. Si è unito, allora, ad un’altra sezione, e lì ha trovato ad accoglierlo compiacenti burocrati di partito, paternalistici e soffocanti. Ha studiato legge, ma si è ritirato prima della laurea. Non aveva bisogno di diplomi: si sentiva pronto.
A 24 anni è stato eletto in Parlamento, è diventato ministro dell’Integrazione. È stato la figura chiave per realizzare il controverso «Islamgesetz», la legge sull’Islam, condannata da tutto il mondo musulmano. Quella legge non fa forse sentire le persone di fede musulmana ingiustamente sgradite? «E perché?», domanda Kurz. «Abbiamo anche leggi per i cattolici e i protestanti».
Lo scontro di civiltà
Kurz insiste che l’«Islamgesetz» è stato ben accolto da molti musulmani austriaci, allarmati dalla diffusione del wahabismo ultraconservatore. Ma certe regole, ad esempio quelle sul finanziamento delle moschee, si applicano solo all’Islam. Questo riflette forse la memoria collettiva austriaca, quella repulsione per gli invasori ottomani alle porte di Vienna nel 1683? «Naturalmente», dice. Pensa che sia inevitabile uno scontro tra cultura europea e cultura islamica? «No», sentenzia. E tiene a puntualizzare che, nel 1912, l’Austria è stata la prima nazione europea a far diventare l’Islam religione di Stato.
Nella Repubblica delle Alpi, oggi, il 10 per cento della popolazione è musulmana. Ma con l’elevato tasso di natalità dei migranti e quello basso degli europei, le proiezioni demografiche preannunciano che si arriverà al 20 per cento entro il 2050. «Per questo abbiamo bloccato il 95 per cento degli arrivi rispetto al 2015». Ma il multiculturalismo funziona ancora? «Sì, se gli Stati non fanno troppi errori».
L’umanità verso i rifugiati
Nel 2015 Kurz, il più giovane ministro degli Esteri della Ue, assisteva con seria preoccupazione all’apertura dei confini di Merkel. I 100 mila migranti austriaci erano, all’epoca e in relazione agli 8,7 milioni di popolazione, il più alto indice pro capite dell’Unione, ad eccezione della Svezia. Dunque, Merkel ha sbagliato? «Sì», afferma Kurz. «Ma penso che la vera ragione della crisi migratoria non sia imputabile ad una singola decisione». Tutto è iniziato prima, con il fallimento di un’Europa che non ha controllato i confini esterni e con la scelta tedesca di dare asilo a ogni siriano che voleva migrare.
Ma la decisione di chiudere i confini non dimostra forse troppa freddezza nei confronti di chi scappa dalla guerra? «Questo non è corretto - continua -. È stata una difficile, ma necessaria scelta. Ci sono state aspre critiche, oggi la maggior parte dei politici europei è d’accordo sul fatto che il sistema non sia più sostenibile». Per la verità, l’alleanza di Kurz con l’Ungheria, la Macedonia e gli altri Stati balcani, finalizzata a chiudere le porte ai migranti, ha sancito la fine dell’Europa aperta di Merkel e l’ascesa dei partiti di estrema destra. «Non è stata una sorpresa», afferma il cancelliere. «Se i politici di centro prendono decisioni sbagliate, se accettano che i governi non abbiano il controllo su chi migra nel loro Paese, se lasciano che questo venga deciso dai trafficanti, vuol dire che si schierano a favore di un sistema in cui 10 mila persone muoiono ogni anno». Per Kurz è inaccettabile.
L’alleanza con l’Fpö e gli ebrei
Il cancelliere austriaco ha infranto la dottrina Merkel, secondo cui i conservatori non vincono attraendo voti dall’estrema destra. Al contrario, ha proposto uno stringente controllo sull’immigrazione, il taglio dei benefici per chi arriva e, facendo eco a Trump, ha inaugurato la retorica dell’«Austria first». Alle ultime elezioni, il suo partito ha guadagnato il 31,5 per cento dei voti, mentre il partito liberale dell’Fpö di Strache il 26. Poi, lui l’ha portato dentro la coalizione, con lo sdegno dell’opinione pubblica. Da quel momento, ha forse l’Austria il primo nuovo leader proto-fascista d’Europa? Kurz dichiara sentitamente che un’alleanza con il partito liberale non era la sua prima scelta. Ma i socialdemocratici, arrivati secondi, hanno rifiutato, troppo orgogliosi per essere il partito di minoranza nel governo.
Si avverte il disgusto del cancelliere per l’Fpö, un male necessario che «ha molto lavoro da fare» per affrontare il suo razzismo interno. Ma il suo leader, Heinz-Christian Strache, ha cacciato gli antisemiti e ha costituito una commissione di storici indipendenti per esaminare il passato nazista. Poi però, ha affidato ai suoi compagni i ministeri degli Esteri e dell’Interno. Kurz rivendica di aver vinto con il supporto della comunità ebraica che tradizionalmente vota a sinistra, quand’era ministro degli Esteri. «Gli ebrei sanno che il montante antisemitismo in Europa proviene dagli estremisti islamici». I 32 anni di Kurz simboleggiano la figura di un leader di una generazione adeguatamente istruita sul ruolo dell’Austria nell’Olocausto. Come Trump, Kurz è saldamente pro-Israele. In un discorso a Gerusalemme, ha affermato: «Ci furono persone in Austria che non fecero nulla contro il nazionalsocialismo, altre che supportarono quegli orrori».
La presidenza di turno
Eppure, Kurz, leader a rotazione del Consiglio europeo, vuole sigillare le porte dell’Ue. Lo slogan del suo mandato è «Un’Europa che protegge». Sostiene un modello migratorio australiano, in cui i migranti possono presentare domanda d’asilo solo al di fuori dell’Europa. Vuole rafforzare le frontiere esterne, ma sottolinea: «Abbiamo anche una responsabilità nei confronti dei nostri vicini. Significa sostenere regioni come i Balcani occidentali, che dovrebbero diventare membri Ue. Chi vive in Africa deve ottenere condizioni di vita migliori».
Ritiene che il suo sia un approccio pragmatico: se l’Austria vuole che continui il generoso stato sociale, questo deve andare a beneficio di chi paga le tasse. «Non tutti i 100 mila migranti arrivati si sono integrati bene». L’opposizione gli imputa di aver ridotto l’accesso ai programmi di apprendistato e alle lezioni di lingua tedesca, i suoi uffici lo negano. È anche accusato di premiare gli austriaci che hanno più figli, proprio come i nazisti hanno dato medaglie alle madri di famiglie numerose. Lui ribatte che la sua politica è aiutare tutti i genitori che pagano le tasse, indipendentemente dalla loro origine.
(The Times / The Interview People - Traduzione di Letizia Tortello)