il Fatto Quotidiano, 7 novembre 2018
Intervista a Gipi
“La mia sensazione è quella di essere finito da tempo, invece mi sorprendo sempre”. Gianni Pacinotti, cioè Gipi, risulta autentico anche quando dice cose che in bocca ad altri sembrerebbero soltanto falsa modestia. Domani esce per Coconino Press Boschi mai visti una raccolta delle sue storie di inizio carriera, quando non era ancora il fumettista italiano più importante (Zerocalcare è il più venduto). E sempre domani va al cinema con Il ragazzo più felice del mondo, prodotto da Fandango, passato dalla Mostra di Venezia, un film di Gipi su Gipi che gira un film sulle tracce di un misterioso personaggio che da decenni si spaccia per un adolescente e scrive cartoline agli autori italiani chiedendo un disegno in risposta.
Gipi, partiamo dal libro: quali sono questi Boschi mai visti?
Storie che risalgono fino a 25 anni fa. C’è roba iperviolenta e di sesso che avevo completamente dimenticato. Gli editor di Coconino sono andati a recuperarle dai diversi editori. Io non avevo più niente perché fino a quattro anni fa vendevo tutti gli originali a un collezionista che comprava tutto e poi un po’ rivendeva ad altri. Siamo diventati amici.
Ha venduto tutte le tavole originali?
Ho iniziato a fare libri a 37 anni, vendevano a 1.500-2.000 copie. Non ci potevo campare.
Al cinema esce Il ragazzo più felice del mondo. Davvero ha dedicato un intero film a questo misterioso adulto che da decenni si finge un quindicenne per chiedere disegni agli autori e poi hai deciso di non incontrarlo?
Quello che si vede nel film è tutto vero. L’incontro non c’è stato. Spero anzi che lui non abbia saputo nulla del film.
Difficile, visto che è uno che segue i fumetti.
Sì, ma in modo strano. Ha scritto lettere a tutti i disegnatori, senza un criterio di gusto. Non è un lettore normale, non credo sia mai andato a Lucca Comics, dove basta poco per avere un disegno a uno stand. La sua passione è mania.
Però ormai sa tutto di lui, dove abita, chi è, quanti anni ha.
So anche il nome dei vicini di casa. Ma, come racconto nel film, da una perizia grafologica ho avuto conferma che si tratta di una persona molto fragile. Mi sono reso conto che stavo per assalirlo con uno stile da infotaiment tipo Iene, con il montaggio fascista e la musichetta, anche se con le migliori intenzioni. Mi sono fermato in tempo.
E se il “ragazzo più felice del mondo” vedesse il film?
Spero apprezzi che l’ho protetto. Ha fatto del bene alle persone cui ha scritto. Io sono stato felice, e così tutti gli altri disegnatori. Certo, poi sono rimasti delusi quando hanno capito di non essere stati gli unici o i primi, ma non è così per tutte le storie d’amore?
Sono fedeli alla realtà anche i tormenti produttivi?
Tutto vero. Io e mia moglie abbiamo prodotto il film rovinandoci, fino allo zero sul conto in banca. Questo ci ha permesso di girare con tempi diversi da quelli di una produzione normale. Io ho scoperto quella lettera del finto adolescente nell’aprile del 2017 e dieci giorni dopo ero sul set, con una troupe di ragazzi. Poi Domenico Procacci di Fandango ha visto il pre-montato e lo ha comprato, permettendoci di fare la post-produzione. Ma a oggi sono ancora in bancarotta, anche se Fandango poi mi ridarà i soldi.
Nel film c’è anche il suo rapporto coi social. Ma come è possibile che il più celebre fumettista italiano se la prenda tanto se uno sconosciuto gli scrive: “Non ti leggo ma mi fai schifo”?
Ci ho ragionato a lungo. Sono stato molto fragile, ora non lo sono più. Chiunque fa un mestiere che prevede esposizione al pubblico ha qualcosa che non va nella testa, o forse nel cuore. Richiedere l’approvazione e l’affetto di sconosciuti, come fa chi va sul palco, chi pubblica un libro o fa un film, non è giusto. È molto più sano chiederlo alle persone che ami. Ci sono tanti mestieri onorevoli che non prevedono l’esposizione continua. Se la insegui è perché hai dei buchi profondi di affettività e li vuoi riempire con gli applausi. Ma io ho scoperto che gli applausi quel buco lo allargano.
E come lo ha capito?
Psicologia infantile. Se cresci circondato dall’approvazione, ti abitui ai complimenti, ti modelli sulle richieste dei genitori perché vuoi gli applausi. E così diventi un adulto diverso da quello che avresti voluto essere. L’amore che arriva solo quando sei bravo non ti scalda il cuore. Quello che ti arriva quando sei sbagliato è quello vero. Anche a me dicevano sempre quanto ero bravo quando me ne stavo buono buono in un angolo a disegnare. E io lo facevo perché sapevo che mi avrebbe portato approvazione. Questo è un problema molto diffuso, quando ne parlo negli incontri in pubblico c’è sempre qualcuno in sala che piange. Ma se sei cresciuto così, non sei consapevole di avere qualcosa che non va: vuoi essere bravo per ricevere gli applausi, e ci riesci. Ma non stai bene. Pensi che sia amore, invece è qualcosa che ti apre un buco dentro cui passa un vento gelido che non auguro al mio peggior nemico.
Lei però sembra averlo capito e, in qualche modo, ha reagito.
Negli anni in cui stavo a Parigi pensavo solo a sdraiarmi sotto la metro. Eppure ero al massimo del mio successo, La Mia Vita Disegnata Male era stato un trionfo, avevo una fidanzata francese. Ma stavo di merda. Eppure avevo esattamente tutto quello che volevo. Poi una mia sorella, più grande di me, che già si era posta queste domande, mi ha passato il libro di una psicoterapeuta, Alice Miller, Il dramma del bambino dotato e la ricerca del vero sé. Mi ha cambiato: cercavo la mia foto tra le pagine perché leggevo la descrizione di tutti i miei comportamenti.
E come se ne esce?
Ho cercato una briciola del mio me originario. Ho lasciato la Francia e sono tornato in Italia, in provincia, dai miei amici delle medie che non sanno neanche che fumetti faccio. Ho iniziato a capire meglio. E, piano piano, a soffrire sempre meno.
Però nei fumetti questo percorso è rimasto sullo sfondo.
Non l’ho mai raccontato nei libri perché mi vergogno. Ma riesco a parlarne. È stata una bella guerra per me. E poi la mia vita è cambiata radicalmente quattro anni fa quando ho conosciuto quella che è diventata mia moglie. Mi sono innamorato per la prima volta a 50 anni. Pensavo: artisticamente sono fottuto, sto troppo bene. Avevo una serenità inedita e mi chiedevo: e ora di che cazzo parlo? Poi però ho scritto La terra dei figli dove non ero io l’oggetto centrale della mia narrazione e credo sia il mio libro migliore.
E ora?
Ora ho iniziato un libro nuovo, un dialogo con Dio, una questione che mi tormenta da tempo. Fa molto ridere. Vedremo se lo porterò avanti.
Una volta faceva strisce di satira politica. In questo momento sente la necessità di fare l’intellettuale impegnato come molti altri scrittori o artisti?
Io non credo alle iniziative degli intellettuali che mi uggiano i coglioni. Credo però alla necessità di scaricare le palle. Ho trovato una chiave con i corti per Propaganda Live su La7. Incanalo le mie ansie per il futuro del Paese in qualcosa che faccia ridere. Preferisco così che stare in un angolo a lamentarmi.