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 2018  novembre 07 Mercoledì calendario

Cento buonissimi motivi per non temere la musica classica

Nonostante le apparenze, non è una playlist. Una playlist ha spesso l’illusione di racchiudere un mondo (una persona, un rapporto, una storia, uno stato d’animo), rappresenta una scelta che, almeno per un momento, pretende di essere definitiva. Il nuovo libro di Nicola Campogrande, per quanto intitolato 100 brani di musica classica da ascoltare una volta nella vita (Bur Rizzoli), non è la playlist che sembra. Contiene, sì, una scelta di composizioni o gruppi di composizioni che disegnano una costellazione e indicano valori, ma proprio per questo non vuole limitarsi a essere quella costellazione. Parole che suggeriscono, non prescrivono. Accompagnano e poi svaniscono.
Chi lo ha scritto è un compositore di riconosciuto talento. Campogrande si è ritagliato con le sue partiture un posto significativo nella programmazione di istituzioni musicali importanti in Italia e all’estero. È anche organizzatore (sua la direzione artistica del festival MiTo) ma è soprattutto l’oggettiva capacità di fare divulgazione (con libri come Occhio alle orecchie, uscito nel 2015 per Ponte alle Grazie, su Radiotre, in tv, sulle pagine de «la Lettura») che si salda con la sua stessa poetica. Da un autore che ha scritto persino un Concerto per pubblico e orchestra è inevitabile aspettarsi un approccio, per così dire, accogliente nei confronti di chi si sente tagliato fuori dai miti e dai riti della musica classica. I 100 brani, così, sono stati scelti per i profani che temono di passare per profanatori e invece devono scoprire che dentro un auditorium abitato da solisti e/o un’orchestra si annidano momenti di godimento autentico, se non di felicità.
Evitando ogni accademismo, sia nei temi sia nei toni, Campogrande pone un obiettivo apparentemente inattuale nell’epoca della riproducibilità tecnica di qualunque cosa: all’ascolto servono esecutori veri, che facciano dell’esperienza musicale qualcosa di carnale. Dita che toccano e premono, aria che vibra, cuori che palpitano. «Tutta la musica classica – scrive – è stata e continua a essere scritta per essere ascoltata dal vivo». E poi: «Per fare esperienza della musica classica, ascoltarla seduti di fronte ai musicisti che la suonano è fondamentale». Le registrazioni sono preziose, inevitabili, ma alla fin fine «valgono come un promemoria» perché «ascoltare non significa sentire. L’ascolto è un’attività». Il pubblico come parte integrante del gesto musicale.
È dunque un abbecedario sentimentale quello di Campogrande, che parte dal Trecento di Guillaume de Machaut («un genio») per arrivare ai nostri contemporanei. Muovendosi fra questi ultimi, le indicazioni dell’autore incoraggiano frequentazioni che, per dire, con il cinese Tan Dun o il finlandese Jaakko Mäntyjärvi, possono riservare sorprese anche a chi magari ha inarcato un annoiato sopracciglio davanti alla (prevedibile?) scelta, tra i cento titoli, della Nona di Beethoven o dei Notturni di Chopin.
Il volume allestisce una scuola del desiderio con poche regole e pochissime trasgressioni: niente lirica (ma c’è l’Ouverture del Candide, musical di Bernstein), non più di un’indicazione per autore (ma di Bach ce ne sono tre, due di altri sei autori). Dopo un’Introduzione che sembra addirittura una dichiarazione di estetica, ogni scelta è accompagnata da due pagine scattanti, con cenni storici e teorici ad uso dell’inesperto che, tuttavia, pongono qualche sfida anche all’esperto; chiude un glossario, per sciogliere eventuali nodi ulteriori. «Talvolta ho scelto l’opera in grado di rappresentarne altre, simili. Talaltra ho preferito lavori nei quali una procedura consueta veniva invece evitata». Un principio arbitrario ma, avverte Campogrande, «non posso che chiedere di accettarlo così com’è». Come dire: fidatevi.
E qui sta – forse – l’innesco più sensibile del libro, il nocciolo più generoso di promesse. Nell’elenco, cioè, sta solo un in(d)izio. Al di là delle singole scelte, occorre formarsi un gusto ma non fermarsi a quello, serve darsi una norma ed essere disposti a violarla, godere di rassicuranti certezze solo se quest’ultime daranno il coraggio di andare oltre. Indirizzarsi ed essere pronti a deviare. Le avventure migliori partono da una mappa rigorosa. È così che ai cento brani potranno aggiungersene altri cento, e questi cento sostituire quelli di partenza, e diventare mille o soltanto dieci, in un gioco combinatorio infinito. La musica è infinita. Ecco perché i 100 brani di musica classica da ascoltare una volta nella vita non sono una playlist.