la Repubblica, 7 novembre 2018
La difficoltà di riscuotere l’Ici dalla Chiesa
ROMA Si potrebbero recuperare 1,7 miliardi, al massimo. Se anche fosse possibile cioè ricostruire ora per allora il patrimonio immobiliare della Chiesa italiana usato per fini commerciali tra il 2006 e il 2011. Ma il problema non è solo catastale, visto che non esiste un documento che dica con esattezza quanti metri quadri delle proprietà ecclesiastiche italiane non erano adibiti – in quei sei anni – a culto, attività sociali, per i ragazzi o i senza tetto. E in quanto tali tassabili. Ricostruirlo ora sarebbe quasi impossibile. E comunque serve una legge, spiega Guido Castelli, responsabile finanza locale per l’Anci (comuni italiani). Il problema è però un altro. E sta tutto nelle regole che il governo Renzi stabilì nel 2014 per far pagare l’Imu anche alla Chiesa, in attuazione della riforma voluta da Monti nel 2012, confermata nella sua legittimità anche ieri dalla Corte di Giustizia Ue. Quelle regole, fissate in un decreto firmato il 26 giugno 2014 dall’allora ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan, hanno introdotto criteri così generosi da esentare – da allora in poi – quasi tutte le scuole e le cliniche cattoliche. Gli elementi da considerare qui sono due. Il gettito intanto. L’allora ministro Graziano Delrio (sempre governo Renzi) calcolò in circa 500 milioni le entrate annuali potenziali recuperabili dagli immobili che prima del 2012 non pagavano imposte sul mattone. Si riferiva al gettito Imu. Negli anni finiti nel mirino dell’Ue – tra 2006 e 2011 – si applicava però l’Ici. Un gettito Imu da mezzo miliardo corrisponde a un gettito Ici quasi dimezzato, tra 250 e 280 milioni. Moltiplicato per i sei anni da sanare fa appunto 1 miliardo e 700 milioni che lo Stato italiano potrebbe recuperare. Ma con quali criteri? E qui veniamo al secondo punto della questione. I criteri sarebbero necessariamente quelli fissati da Monti e poi dettagliati dal decreto ministeriale di Renzi. Criteri che di fatto, oltre all’oggettiva difficoltà di ricostruire il patrimonio da assoggettare ad Ici, ridurrebbero la cifra di molto. Ad esempio, le scuole cattoliche di ogni ordine e grado – circa 8.800 – che hanno rette inferiori ai 6-7 mila euro sono esentate da Imu e Tasi. E probabilmente verrebbero esentate dall’Ici del passato. Per le strutture sanitarie e assistenziali cattoliche – circa 4.700, come consultori, ospedali, case di cura, ambulatori, dispensari – va ancora meglio. Basta essere convenzionate con il sistema sanitario nazionale, a prescindere dalle tariffe imposte ai pazienti, per non dover versare alcun tipo di tassa immobiliare. Difficile chiedere a una clinica di pagare – se già non lo faceva – l’Ici relativa agli anni tra 2006 e 2011, se anche allora era accreditata con lo Stato. La quasi totalità è in queste condizioni. Discorso diverso per alberghi, ostelli, bed&breakfast. Il giro d’affari del turismo religioso è stimato in 3-4 miliardi di euro. E molte strutture in passato riuscivano a eludere il fisco. Persino Papa Francesco ha ripetuto in più occasioni che «se un convento religioso lavora come un albergo, paghi le tasse». Eppure qualche anno fa il comune di Roma – rispondendo a un’interrogazione del consigliere radicale Riccardo Magi – ammetteva che ogni 4 alberghi privati della Capitale uno è della Chiesa, ma nel 40% non versa l’Imu. Le regole del 2014 dicono che la tassa è sempre dovuta. Tranne per gli spazi organizzati «non in forma imprenditoriale». Ad esempio le stanze affittate nei conventi o collegi. Ma solo se discontinue nell’apertura al pubblico (non sull’intero anno solare). E se aperte all’accoglienza di «destinatari propri delle attività istituzionali»: alunni e famiglie delle scuole, iscritti a catechismo, parrocchiani, membri di associazioni, fedeli ospitati per ritiri spirituali. Come si fa con queste regole a riscuotere il pregresso?