la Repubblica, 7 novembre 2018
Era abusiva anche la casa a Ischia di Di Maio
Un “vizio” di famiglia. Che affiora da vecchi archivi: perché se la politica dimentica, le istituzioni conservano. E ricordano. Come il padre chiedeva di sanare (per sé), così il figlio sana (per gli altri). Come il papà Antonio, geometra e piccolo imprenditore, aspirava al perdono per 150 metri quadri di abusi edilizi su due livelli, così il figlio Luigi vicepremier e bi-ministro elargisce il condono di governo – su Ischia per i terremotati, sul continente per gli evasori – a chi è disposto a pagare.
I Di Maio ieri e oggi, e forse domani, chissà. Certo è beffarda la storia di una “concessione” per opere fuorilegge che riguarda la famiglia del leader dei Cinque Stelle e che evidentemente tutti dovevano ritenere sepolta, negli uffici polverosi di Pomigliano d’Arco. Ora si capisce perché il ministro del Lavoro e dello Sviluppo abbia un problema anche solo a pronunciare la parola “condono” e neghi l’evidenza della sanatoria riservata ai comuni dell’isola verde. Perché questa storia racconta di un vicepresidente del Consiglio che è nato ed è vissuto letteralmente in un elegante palazzetto – dove tuttora è fissata la sua residenza – ricco di spazi fuorilegge, costruiti in più riprese e poi sanati e integrati dalle locali autorità. E senza neanche il pretesto dei danni del sisma.
“Ampliamenti sul secondo e terzo piano”. E giù tutti i rilievi: le camere da letto sorte dal nulla, i bagni, il tinello, persino lo studiolo lassù in cima, proprio dove spesso Luigi anche ora da leader si ritira. Andiamo con ordine. Pratica numero 1840, del protocollo 7850 del 30 aprile 1986, intestata al signor Antonio Di Maio, oggi 68enne, già noto esponente del Msi in paese, abita in via Felice eccetera (Repubblica ne tutela l’indirizzo: ma è noto a tutti in paese, persino gli operai della ex Fiat sono andati a protestare lì sotto e addirittura il fratello minore del vicepremier ha chiesto e ottenuto dall’Arma una breve tutela perché temeva di essere infastidito da sconosciuti fin sotto casa).
Il papà del vicepremier sa come destreggiarsi anche nel ginepraio di leggi e cavilli: è un piccolo imprenditore che nel 2017 ha dichiarato pochi spiccioli, ma in passato ha sempre lavorato in cantieri di privati per medie ristrutturazioni, impresa poi confluita in quella dei figli : la società Ardima Srl (al 50 per cento di Luigi, che non ha ruoli attivi, il resto della sorella Rosalba, architetto).
La legge a cui si appella è appunto la 47 dell’85, quella del governo Craxi-Nicolazzi che introduce il primo condono a maglie larghissime. Ma ci vorranno anni perché il percorso si concretizzi e l’iter arrivi a buon fine. Siamo nel pieno del post-terremoto in Campania: costruire o estendere opere abusivamente è un sistema capillare, tumultuoso, diffuso a tutti i livelli. Una strada spianata per i furbi, una fonte di affari per i tecnici di ogni professione, un meccanismo oleato per l’imprenditoria edilizia di matrice criminale, e comunque sport praticato in tutto l’hinterland e nel Comune di Pomigliano che detiene un record, al riguardo.
Antonio Di Maio, in più, ha un vantaggio: è un geometra, sa come funziona il condono, ha eseguito vari lavori, ma soprattutto darà una mano come esaminatore per il Comune, e proprio su altre pratiche di conoscenti in attesa. Fatto sta che, impegno dopo impegno, faldone dopo faldone, arriva anche il turno della sua istanza. Ma è nel 2006 – quando il giovane Di Maio già si è impegnato al liceo Imbriani e ha conquistato sul campo i primi galloncini di leader – che arriva la concessione e il conto da pagare. In fondo, trascurabilissimo: appena 2mila euro. Una somma irrisoria, per l’ampiezza di un appartamento ricavato ex novo.
Ecco cosa rileva l’architetto responsabile del Servizio comunale: Di Maio padre ottiene il condono per una serie di opere edilizie, fatte in anni diversi. Tecnicamente: “ampliamento di un fabbricato esistente al secondo e terzo piano”. Nello specifico, ad un piano, è lo stesso Di Maio senior, registrato come “tecnico rilevatore” a segnalare che la superficie fuorilegge “utile”, cioè abitabile, è di 74,76 (mq), più altri 3 metri come “non residente”; mentre, sull’altro piano, è di 61,57 più altri 12. Il totale fa 151 metri quadri, praticamente una nuova casa.
L’istruttoria conclusiva risale al 17 giugno del 2006: ci sono da pagare due rate di 594 euro, più gli oneri di concessione per 410 euro, più una differenza perché si è distratto, ha misurato meno metri di quelli che risultano. Totale: 2mila euro. Di Maio senior versa, la palazzina ora è pulita. Di Maio jr è già impegnato in politica (all’epoca suo padre sogna di presentarlo a Gianfranco Fini) ed è ventenne quando la pratica di papà si chiude. Forse non ricorda. O non ha mai ritenuto di doverlo precisare, nonostante le responsabilità pubbliche e il dibattito esplosivo sui condoni. Però che strano. Perfino lo scandalo di Quarto, che portò gli allora censori del direttorio – Di Maio e Di Battista in primis – all’espulsione dell’unica sindaca pentastellata della Campania, Rosa Capuozzo, nacque tutto da un abuso edilizio.
La prima cittadina viveva in una casa con un’opera ancora da condonare e tale dettaglio spinse un consigliere comunale del Movimento a metterla sotto ricatto, prima che lui stesso finisse sotto inchiesta della Procura antimafia.
Rimozioni, personali o familiari. Specie per i leader lanciati sul cambiamento. Peccato che hanno un difetto, le istituzioni. Non sono soggette ai legittimi venti e rivolgimenti del consenso. Mentre la politica alza la voce, le istituzioni tacciono, gli uffici conservano. E custodiscono carte, numeri, pratiche. Fosse pure la vecchia memoria degli uffici condoni. Che continuano a lavorare: di padre in figlio.