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 2018  novembre 06 Martedì calendario

Gödel, il matematico del secolo innamorato di Biancaneve

La vita dei matematici ha questo di straordinario: che con la vita ha poco o nulla a che fare. Niente preoccupazioni per il pranzo o la cena, niente discussioni politiche, niente ansie per il mutuo, la suocera, l’orto, l’utilitaria. Cantor, ad esempio, fu sopraffatto dalla depressione per non essere riuscito a dimostrare l’ipotesi del continuo. Gentzen, ad esempio, si lasciò morire di inedia in un campo sovietico, dove lui – il nazista – era “abbastanza contento perché aveva il tempo per pensare alla coerenza dell’analisi”. Gödel, ad esempio, smise di nutrirsi nel 1970: otto anni dopo, neanche 72enne, volò in cielo con addosso appena 30 chili. È di lui – Il dio della logica – che racconta Piergiorgio Odifreddi, riaffabulando anche per i comuni mortali (tutti coloro a cui il lemma di König o la cardinalità degli insiemi transfiniti non dicono niente) la “vita geniale” di un “matematico della filosofia”, sottotitolo. Chi si fosse già perso, si tranquillizzi: “Matematico della filosofia” è l’unica definizione incomprensibile, quasi insensata, dell’intera biografia.
Kurt Gödel – sia “God” sia “El” significano “Dio” in inglese ed ebraico – nacque a Brno, nel cuore della Mitteleuropa, nel 1906, in una famiglia protestante di lingua tedesca: a 5 anni gli fu diagnosticata la prima nevrosi ansiosa, di cui non si liberò mai, insieme ad altri disturbi psichiatrici quali ipocondria, paranoia e depressione. Si formò nella Vienna di inizio Novecento, culla delle avanguardie artistiche, della psicoanalisi, della filosofia e della matematica, per poi trasferirsi a Princeton, Usa, dal 1940 alla morte. Cambiò nazionalità una “mezza dozzina” di volte: era apolide e anarchico sin nel passaporto, prima ancora che di nervi.
Adele, sua moglie, era più vecchia di sei anni, modesta e frivola, mal digerita dalla madre e dagli amici; eppure per “Kurtino” era un toccasana, meglio di un antidepressivo, anche perché aveva il compito di assaggiatrice di ogni suo pasto: tra le tante fobie di Gödel c’era quella di essere avvelenato, come Biancaneve. Forse per questo amava i cartoni della Disney ed era, tutto sommato, un uomo dai gusti semplici: la letteratura gli risultava ostica, da Dostoevskij, che “deprime i lettori”, a Kafka, che “scrive un po’ da matto”, a Goethe, “ignorante e presuntuoso”, ma questo lo sostiene il partigiano Odifreddi, che non si fa mancare le stilettate contro l’“insensato” Heidegger, i filosofi continentali, i mistici e i credenti in generale, di cui peraltro è piena la storia della matematica. Non si creda, comunque, al frusto binomio genio-pazzia: la malattia mentale di Gödel incise sul suo talento tanto quanto Biancaneve e i sette nani.
E veniamo al talento: incoronato dal Time “matematico del secolo”, Gödel scoprì “la più significativa verità: incomprensibile al profano, rivoluzionaria per il filosofo e il logico”. La rivoluzione è datata 1931, quando licenziò i due teoremi di incompletezza, dimostrando che nessun sistema formale (sufficientemente espressivo da contenere l’aritmetica) può essere coerente e completo: primo, perché contiene proposizioni indecidibili (non dimostrabili); secondo, perché non è possibile provare la coerenza del sistema all’interno del sistema stesso. Tramite un paradosso – la proposizione G, che dice di sé di non essere dimostrabile – il logico certificò che la “verità aritmetica” è indefinibile, facendo implodere miseramente i Principia Mathematica del buon vecchio Russell, rivoltando la storia della filosofia e spianando la strada all’informatica.
Alcuni colleghi (Skolem, Herbrand…) erano vicini al risultato, ma inconsapevoli delle ricadute teoretiche dell’“incompletezza”: Zermelo la travisò; Wittgenstein “non capì proprio il teorema”; Russell “fraintese, ma in maniera interessante”. Altri, invece, come Post e Turing, ne raccolsero i frutti, aprendo alla digitalizzazione e computazione, ovvero al computer.
Grande amico di Gödel, e compagno di passeggiate e chiacchiere a Princeton, fu Einstein: “Ho riflettuto sui motivi per i quali Albert provasse piacere a parlare con me – scrisse Kurt –. Credo che una delle ragioni fosse che spesso ero di parere contrario al suo”. Tra le lezioni americane di Gödel, degne di nota sono la dimostrazione d’incoerenza della Costituzione statunitense e la prova ontologica dell’esistenza di Dio: come molti colleghi, Kurt era un platonico (per cui l’esistenza della realtà matematica è oggettiva e indipendente dall’uomo), ai limiti del misticismo, tanto da credere nella parapsicologia e nella telepatia, molto meno nella vita di tutti i giorni – al netto che avesse tentato di togliersela due volte: “Più penso al linguaggio, più mi stupisco che la gente riesca a capirsi quando parla”.