Il Messaggero, 6 novembre 2018
Quinto quarto di nobiltà
Ma chi l’ha detto che la cucina del quinto quarto è solo quella dei poveri e di chi deve fare acrobazie per mettere assieme pranzo e cena? Spazziamo subito via questa convinzione. «Le cose sono più complicate – spiega Massimo Montanari, storico dell’alimentazione – A sfogliare i libri di cucina di secoli fa Medioevo, Rinascimento, età barocca ci si accorge che dagli occhi alla coda, ogni parte dell’animale finiva sulle tavole dei signori. Non era questione di necessità, ma di scelta e di gusto. Il gusto di valorizzare i prodotti fino al midollo, letteralmente».
La complicità che ha tenuto assieme tavole ricche e tavole povere ha fatto proprio di Roma la città che più di tutte in Italia esalta le parti meno nobili, inventando perfino la definizione di quinto quarto in aggiunta ai quattro tagli pregiati della macellazione: i due anteriori da cui si ricavano collo o girello e i due posteriori col filetto e lo scamone. Testa, coda, zampetti, interiora, frattaglie sono gli ingredienti, anzi il cuore della cucina romana, come recita il sottotitolo di Quinto quarto, il più completo libro sul tema scritto (però) dalla tedesca Cornelia Schinharl e dallo svizzero Beat Koelliker (Giunti, 224 pagine, 22 euro).
METÀ ANIMALENel volume c’è anche la testimonianza dello storico macellaio di via di Ripetta Annibale Mastroddi. «A parole afferma siamo tutti contro la società dell’usa e getta, ma poi non ci scandalizziamo quando scopriamo che più della metà del peso di ogni animale macellato viene buttato via». L’altra capitale italiana della cucina dei presunti scarti è Firenze col notissimo lampredotto, parente stretto della trippa. Il più noto critico gastronomico fiorentino ha intitolato proprio Quinto Quarto il suo blog. «Per mangiare cuore ci vuole cervello – sintetizza Leonardo Romanelli – Il cibarsi di parti che qualcuno potrebbe definire di scarto rappresenta un grande rispetto per l’animale che, una volta ucciso, viene sfruttato appieno».
Innumerevoli sono i piatti della tradizione. Proviamo a stilarne la top ten.
1) La trippa il prestomaco – è davvero nazionale: a Roma si cucina in umido con pomodoro, mentuccia e sopra il pecorino, con ragù, brodo e uova sbattute in Emilia, con i cardi in Liguria, con le melanzane in Sicilia, con pomodori e cotenna nelle Marche.
2) Il fegato è amatissimo nella sua ricetta più nota, alla veneziana, tagliato a striscioline e rosolato con la cipolla.
3) Il cuore intero pesa fino a 3 chili è molto versatile: brasato, in umido, perfino ripieno e cotto al forno.
4) Il rognone, cioè il rene, deve essere cotto pochissimo per non fare indurire la carne.
5) Il cervello tagliato a fette, marinato e poi in pastella si usa fritto.
6) Il polmone è usato in genere per insaporire altre carni, in Lombardia lo preferiscono a spezzatino.
7) Le animelle, povere di grasso e facilmente digeribili, vengono esaltate nella Finanziera di origine piemontese.
8) La lingua è quasi sempre salmistrata.
9 ) La milza schietta o maritata, cioè con la ricotta – è il re dello street food siciliano.
10) La coratella a rigor di tradizione dovrebbe essere composta solo da frattaglie di piccoli animali. Restano fuori altri piatti: non li abbiamo buttati, solo conservati per un prossimo articolo.