Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2018  novembre 06 Martedì calendario

Marco Malvaldi ha scritto un romanzo su Leonardo Da Vinci. Intervista

Se a dividerli non ci fossero quei cinque secoli e spiccioli, potremmo azzardare che Leonardo Da Vinci e Marco Malvaldi sarebbero diventati amici. Entrambi toscani, fiorentino uno, pisano l’altro; entrambi protagonisti di curiose scelte nell’abbigliamento, il primo prediligeva lunghe vesti rosa il secondo ha una passione per i pantaloni corti anche quando le condizioni atmosferiche lo sconsiglierebbero; ma soprattutto entrambi appartengono alla categoria degli uomini dai molti talenti. 
Per Leonardo, si sa, è difficile dire che cosa non fosse: pittore, scultore, ingegnere, architetto, sceneggiatore, stilista, musicista e persino disegnatore di abiti per dame, come a dire che molto prima di Armani e Valentino all’alta moda ci ha pensato lui. In poche parole, il vero uomo rinascimentale che voleva sapere tutto di tutto.
Ma anche Malvaldi in quanto a ecletticità non scherza: chimico di formazione con una predilezione per la matematica e la fisica, cantante di musica barocca (essendo alto di statura è un basso profondo), formidabile giocatore di ping-pong e, naturalmente, scrittore.
Diventato famoso con i romanzi del BarLume pubblicati da Sellerio e trasformati in una fortunata serie tv, autore di Odore di chiuso (Sellerio), il suo titolo più tradotto all’estero, con Pellegrino Artusi il padre di tutti i masterchef come protagonista, ora Malvaldi ritorna su questa strada facendo di un personaggio storico, Leonardo appunto, l’eroe del suo nuovo libro, La misura dell’uomo, in uscita per Giunti il 6 novembre con prima presentazione il 7 proprio a Firenze, assieme a Paolo Hendel e Fabio Galati.
Il romanzo anticipa quella che probabilmente sarà una lunga serie di pubblicazioni dedicate a Leonardo, del quale nel 2019 cadono i 500 anni dalla morte. E la proposta è arrivata a Malvaldi direttamente dalla Giunti, che dal 1964 per decreto della Presidenza della Repubblica ha il compito di realizzare l’Edizione Nazionale dei Manoscritti e dei Disegni di Leonardo da Vinci. Quello che ne è uscito è un giallo di estrema gradevolezza, già venduto in molti Paesi esteri, nel quale un giovane Leonardo, al servizio del Duca di Milano Ludovico il Moro nel 1493, si ritrova, suo malgrado, nell’insolito compito di investigatore dopo che un cadavere viene rinvenuto nel cortile del castello.
«Quando la Giunti mi ha chiesto di occuparmi di questo progetto», dice Malvaldi, «da un lato mi sono sentito onorato, dall’altro mi sono reso conto che quello che sapevo di Leonardo non era abbastanza: lo avevo studiato, conoscevo le sue opere, avevo ammirato i suoi codici ed ero informato sui dettagli curiosi, tipo che era mancino e che i suoi orientamenti sessuali non erano chiari, disinteressato alle donne ma allo stesso tempo non dichiaratamente gay. Ma non era sufficiente per scrivere di lui. Così per sei mesi sono stato segregato con uno studioso vinciano, Dario Dondi, a leggere manoscritti autografi e ad approfondire gli aspetti che mi interessavano. E alla fine ho avuto un’intuizione».
Quale?
«Che il vero Leonardo non è quello della corte dei Medici, ma appunto quello di Milano. Arriva al servizio degli Sforza che è un giovane di grandi speranze e ne esce il genio conclamato che tutti conosciamo. Perché allora, mentre Firenze dopo la morte di Lorenzo il Magnifico era in declino, Milano assieme a Londra e Bruges era il vero centro d’Europa. E il Moro un signore molto più illuminato di quanto si immagini».
I problemi della Milano del romanzo non sembrano diversi da quelli di oggi
«Sì, è così. Una Milano con le banche già allora impegnate a far prevalere i propri interessi a volte a spese dei risparmiatori. Una Milano con qualche impulso separatista da Roma, anche se nel libro a volerlo è un frate che auspica l’autonomia della propria Chiesa. E una Milano con un gravissimo problema di traffico».
Il traffico?
«Lo so, può far sorridere. Ma per me è stato ancor più esilarante leggere in documenti dell’epoca, lettere di ambasciatori e persino di Beatrice d’Este, la sposa del Moro, che la principale causa del traffico erano le donne alla guida di carretti che non sapevano portare. Oggi quei carretti si chiamano Suv, ma la sostanza non cambia».
Altre sorprese nei documenti del tempo?
«Diciamo che allora il modo di comunicare era piuttosto diretto. A volte troppo. Come quando il Moro descrive al suocero, Ercole d’Este, le sue notti di sesso con la moglie Beatrice – per di più, precisa, davanti a testimoni rassicurandolo di averla messa incinta. Oggi difficilmente accadrebbe. E per fortuna».
Ma un Leonardo investigatore è credibile?
«Questa è di sicuro la parte più romanzata. Leonardo rifuggiva la violenza, difficilmente si sarebbe messo in una situazione del genere. Ma di certo se avesse voluto farlo sarebbe stato straordinario anche in quello».
Non c’era niente in cui non riuscisse?
«Fino ai 40 anni in matematica non era un granché, va detto. Alcuni suoi errori lasciano stupiti. Viene da pensare che se avesse avuto le conoscenze, che so, di un Newton, sarebbe arrivato a vette inimmaginabili. Alcune sue intuizioni hanno anticipato di 300 anni teorie che sono ancora oggi alla base della meccanica o della fisica. Certo a volte si buttava in imprese, come in quella del mastodontico cavallo di bronzo commissionato dal Moro di cui si parla nel romanzo, che non portava a termine. Ma altre volte ha progettato o intuito oggetti che sono stati realizzati secoli dopo: per esempio strumenti musicali come il flauto a modulazione diminutiva (il concetto è lo stesso del theremin) o la viola organista, una tastiera che suona come degli archi. Così come era capace di impegnarsi allo spasimo per idee all’apparenza insignificanti per uno come lui».
Un esempio?
«Nelle cucine del Moro avevano bisogno di un girarrosto che funzionasse bene. Leonardo non ha avuto pace finché non è riuscito a far girare gli ingranaggi alla perfezione. E dire che era pure vegetariano».