Il Messaggero, 5 novembre 2018
Un omaggio a Gabriella Ferri
Non può essere dimenticata Gabriella Ferri. È la traccia che anche quando corre sotterranea, sorregge la musica italiana, e periodicamente riemerge con forza. Negli ultimi tempi molti artisti romani la omaggiano e aggiornano, da i Muro del Canto a Noyz Narcos. Lo fa anche Syria, proprio nel quartiere Testaccio in cui la Ferri nacque nel 1942. Sarà al Teatro Vittoria domani e mercoledì con il concerto-spettacolo Perché non canti più, ideato con Pino Strabioli, che dell’artista scomparsa era amico ed entrerà in scena nell’ultima parte.
IL LIBRO
Tutto nasce da Sempre, il libro che lui curò, dopo aver aperto con «dolorosa gioia» una valigia rossa piena di suoi appunti, disegni, poesie. Racconta la cantante Syria, alias Cecilia Cipressi: «Ho bussato alla porta di Strabioli e chiesto la supervisione di Seva, figlio di Gabriella, per poterle rendere un tributo ufficiale. Da piccola la vedevo in tv ed era magnetica, diversa da tutti, una personalità che si imponeva senza divismi. L’ho riscoperta più volte e oggi, a 41 anni, mi sembra di comprenderla più che mai. Nei miei 22 anni di carriera ho vissuto cose meravigliose e rinunciato alla visibilità per fare ciò che più mi piaceva, sottraendomi a meccanismi discografici che non condividevo. Lei fece questo atto di libertà. Da qui il titolo Perché non canti più, la domanda che le rivolgevano tutti quando non si faceva vedere».
La Ferri rispondeva nel suo diario: «Non aspettatemi, sono impegnata a conoscermi». Chiamava l’industria «l’ultima stancante volgarità, mercato crudele che mette in vendita le piccole cose dell’anima», eppure sentiva che nelle canzoni c’era qualcosa di autentico e con quella sua voce sapeva raschiare il fondo di ogni verità.
I TESTI
«Gabriella raccontava la vita reale. Popolana e popolare cantava per tutti, toccando tematiche sociali e dando ai testi un senso poetico. Da romana quale sono, è meraviglioso poterla interpretare e usare il nostro dialetto pieno di ironia e malinconia. Stiamo girando l’Italia con questo spettacolo e in ogni data il pubblico canta il suo repertorio a squarciagola e la festeggia. Mi fa vivere tante emozioni diverse sul palco». Con lei una chitarra, un pianoforte, e un baule da cui estrae pagine intime: «Non ho la fisicità della Ferri e non voglio imitarla, perciò la omaggio a modo mio, indossando costumi non suoi ma ispirati a lei. Il frac e la bombetta sono immancabili». Non ci sono le canzoni che era stufa di fare (La società dei magnaccioni) ma quelle che più amava: Remedios, Le Mantellate, Sempre, Grazie alla vita, Vecchia Roma, Il Valzer della Toppa (con il testo di Pasolini), Dove sta Zazà, Rosamunda.
Roma aveva la figlia che più le assomigliava, schietta e accorata, drammatica e arlecchinesca, ma sarebbe un torto limitare la sua arte a Tevere e rioni. Affrontò il repertorio napoletano, folk, rhythm n’ blues, jazz, flamenco. Fu autrice, non solo interprete. E in questo concerto si scopre anche la sua parte più fragile e tormentata, quando er dritto andò storto, oltre alla musica che come scrive lei «È la disponibilità ad incontri commoventi».