Libero, 5 novembre 2018
Storia della birra in Europa
C’è un solo modo per farvi 24 pinte di birra senza barcollare: non scolatevele, ma leggetele. «Datemi una leva e vi solleverò il mondo» affermava Archimede, «Datemi una pinta e vi spiego l’Europa», potrebbe essere il sottotitolo di un curioso libro scritto da due storici finlandesi. Mika Rissanen e Juha Tahvanainen hanno analizzato come l’Europa sia stata fatta anche grazie a dieci secoli di boccali di birra. In tutto questo tempo l’Europa ha cambiato volto, ideologie ed abitudini ma senza perdere la passione per questa bevanda alcolica, tra le più antiche e diffuse nel mondo.
Storia dell’Europa in 24 pinte (ed. Utet, 17 euro) è un percorso nei vari Paesi e per non perdere (s)malto ognuno dei 24 capitoli si conclude con la scheda dettagliata di una birra: i retroscena della marca, il suo stile birraio, le sue peculiarità e il suo grado alcolico, fondamentale se poi dovete tornare a casa in auto. Leggendo il libro ci si accorge di quanto la birra sia stata un ponte tra i popoli, un elemento di aggregazione (e anche di costruzione) di civiltà, amata da re e operai, frati trappisti e soldati, tifosi di calcio e ministri...
La birra ha origini che si perdono nella notte dei tempi se già i Sumeri ne descrivevano il consumo nel 4000 a.C., mentre nel 3000 a.C. compaiono le prime ricette che ne illustrano i metodi di produzione con orzo maltato e semplice acqua. Già nel I° secolo a.C lo storico Tacito raccontava che «quando i germani si riunivano in assemblea per scegliere tra la guerra o la pace o per decidere su fatti di cruciale importanza come la condanna a morte di un membro della tribù, beveva- no fiumi di birra».
EFFETTI MIRACOLOSI
La birra è sempre stata il sotto- fondo di momenti storici impor- tanti: per esempio Martin Lutero preparò la sua difesa alla Dieta di Worms “sorretto” da un barile di birra ricevuto in regalo e molto più recentemente fu proprio la birra a salva- re una popolazione assediata. Successe nell’aprile 1992 «quando le truppe serbe assediarono Sarajevo, la capita- le della Bosnia-Erzegovina, intrappolando al suo interno più di trecentomila persone. Un mese dopo, gli assedianti chiusero l’acquedotto che dalle montagne circostanti riforniva la città di acqua potabile. «Che bevano champagne», avrebbe detto Marie Antoinette. Nella città assediata di bollicine non ce n’erano e a salvare i cittadini dalla morte per sete ci pensò il birrificio Sarajevska».
Anche la Chiesa ha fatto in fretta i conti con i “miracolosi” effetti della Bibbia, pardon birra. I due storici finlandesi ce lo fanno scoprire portando- ci in Irlanda, terra dove il Cristianesimo affondò rapidamente le proprie radici fino a diventare uno dei paesi europei da cui partiva il maggior numero di missionari. Proprio in Irlanda, intorno al 540, nacque San Colombano, prima monaco e dai 49 anni missionario. Lui «declamava l’ascetismo della vita monastica, ma teneva in gran conto la birra» e la riprova sta nella gran quantità di leggende sui suoi miracoli “al sapore di malto”. Uno dei più popolari racconta che riuscì a moltiplicare pani e birre, esatta- mente come a Gesù con pani e pesci.
Troppe volte restiamo in superficie e non guardiamo sotto la schiuma. Questo libro c’insegna ad avere una mentalità curiosa e a non limitarci a bercele tutte. Che per far quello bisogna esserci portati. Come Pietro il Grande, lo zar di Russia che «torreggiava sui suoi simili non solo fisicamente ma anche perché sul campo di battaglia era il più coraggioso, come uomo di Stato il più lungimirante e, in caso di bagordi, il più assetato. Le quantità di vodka che lo zar era capace di bere avrebbero portato i meno allenati dritti all’altro mondo». Quando lo zar si accorse che la vodka era veramente “troppo” cercò la soluzione e la trovo a Londra in un pub in Norfolk Street dove «assaggiò la birra scura tanto amata dagli scaricatori del porto». Tornato in Russia dichiarò che per il proprio popolo era giunta l’ora della sobrietà e così sdoganò la birra che aveva effetti meno devastanti della vodka. E piaceva pure alle donne al punto che Caterina II la Grande «si vantava di riuscire a bere tanta birra quanto un uomo di corte». E non era l’unica: anche Sissi, l’imperatrice Elisabetta d’Austria, ne era appassionata.
LA SCIENZA MEDICA
La birra ha fatto pure del bene, come conferma l’impegno dello scienziato francese Louis Pasteur che per sottrarre alla Germania lo scettro di miglior produttrice «allestì persino un piccolo birrificio nel suo laboratorio e si dedicò giorno e notte alla scoperta dei segreti dell’arte brassicola» arrivando a risultati che portarono benefici all’industria alimentare e alla scienza medica.
Furono dei barili di birra a testare nel 1835 il primo trasporto di merci con treni a vapore sulla linea tedesca Norimberga-Furth, le cronache raccontano che si conservarono freschi fino all’arrivo. Spesso «andiamo a farci una birretta» ce lo diciamo in amicizia, proprio co- me capitò a J.R.R. Tolkien, l’autore de Il Signore degli Anelli, e C.S. Lewis, padre delle Cronache di Narnia, che ogni giovedì sera si ritrovavano a conversare vivacemente in un pub di Oxford. Ma la bionda regina del marketing, secondo i due autori finlandesi, resta la nostra Peroni che accese la sete di birra degli italiani con una campagna pubblicitaria vincente. Vennero scelti testimonial affascinanti come Anita Ekberg e fatti passare messaggi importanti sulle proprietà salutari della birra: si diceva che fosse
«particolarmente adatta ad anziani, donne e giovani» e si esortava a consumarla «in tutte le stagioni, non soltanto durante i caldi mesi estivi», ricordando «di non dimenticarla mai nella lista della spesa». La pubblicità funzionò talmente bene che la produzione non sempre riuscì a tenere il passo con la domanda. Solo un dato che vale più di mille parole: nel 1955 c’era una consumo pro capite di 3,6 litri all’anno, oggi quel dato si è stabilizzato intorno ai 30 litri. Dieci volte di più. Andiamo a tutta birra.