Il Messaggero, 5 novembre 2018
Valeria Bruni Tedeschi si racconta
Valeria Bruni Tedeschi arriva al cinema in sella a una vecchia, sfavillante moto Guzzi Falcone, il casco rosso appoggiato sui capelli biondi e le braccia strette intorno al regista Francesco Ranieri Martinotti che è alla guida e, da dieci anni, organizza a Firenze il festival di film francesi France Odéon (la giuria guidata da Laura Morante ha premiato ieri Guy di Alex Lutz, Première année di Thomas Lilti, retour à Bollène di Said Hamich). Gli spettatori, incolonnati sul marciapede, riconoscono Valeria e l’applaudono. L’attrice ha fatto il tutto esaurito. «Non perdiamoci in chiacchiere, il pubblico è qui per vedere il film», esclama lei una volta in sala. Per essere all’anteprima fiorentina de I villeggianti, la sua ultima regia (uscirà il 20 dicembre), si è addossata sette ore di treno e molta stanchezza: in questi giorni sta girando in Calabria il film di Mimmo Calopresti Via dall’Aspromonte interpretato anche da Marcello Fonte, Sergio Rubini, Marco Leonardi. Ma voleva assolutamente accompagnare I villeggianti, tragicommedia ispirata alla sua vita, interpretata da lei stessa, la madre Marisa, la zia Gigi, Valeria Golino, Riccardo Scamarcio, già lanciata a Venezia. Gli occhi azzurri pronti a inumidirsi per inseguire un’emozione, cortese ma a a tratti distante, Valeria, 53, si racconta.
È importante, per lei, accompagnare i suoi film in sala? «Certo, anche se non amo particolarmente la promozione. È la parte più faticosa del mio lavoro. Ma devo riconoscere che a volte, nel corso delle interviste, scopro cose che non avevo pensato».
Puntiamo allora alla rivelazione: questo è il suo film più autobiografico dato che parla di un amore finito, di un fratello morto, di una famiglia ricca e un po’ strampalata? «Non direi. Ho inventato tante cose, è la mia autobiografia immaginaria. Ma il rapporto di un artista con il proprio vissuto è un tema troppo interessante, non va banalizzato con il gioco delle identificazioni tra finzione e realtà».
Ha accettato di fare l’attrice con Calopresti per prendersi una pausa dalle fatiche della regia?
«Ma non ho bisogno di pause. Mi coinvolgo sempre direttamente in quello che faccio. Interpretare e dirigere film sono due facce diverse dello stesso lavoro. Non voglio avere frontiere».
Allora perché è volata in Calabria?
«Calopresti è una persona molto importante nella mia vita e nel mio percorso artistico. Con lui ho già girato quattro film e iniziato a scrivere per il cinema. La mia vita è come una ragnatela di cui tengo accuratamente i fili. Non mi separo da chi conta. Scrivo copioni da 25 anni con Noémie Lvovsky, lavoro sempre con mia madre e sento ancora vivo Patrice Chéreau, il regista mi lanciò».
Che ruolo ha in Via dall’Aspromonte?
«Sono una maestra elementare venuta dal nord in un piccolo paese calabrese, negli anni ’50, e mi batto per istruire gli abitanti. È la realizzazione di un mio vecchio sogno».
Quale?
«Insegnare a scuola. Da bambina volevo fare la maestra. La vita ha deciso diversamente ma ora Calopresti mi permette di essere quello che ho sempre desiderato. Il mio pesonaggio è commovente, poetico, profondo». Il cinema attuale, invece, lo è sempre meno? «Non credo. Quello che vedo non mi sembra così banale. O forse vedo solo i film che somigliano ai miei».
Ne prepara uno nuovo?
«Sì, sto scrivendo con Noémie in gran segreto».
Il movimento anti-molestie #Me Too ha compiuto un anno: che effetto le fa?
«Mi sento estranea al movimento forse perché ho lavorato tanto in teatro, con registi omosessuali e non ho vissuto abusi sulla mia pelle. Senza nulla togliere al dolore delle vittime, mi creano un forte disagio le delazioni, le denunce, le condanne precipitose. Aver spazzato via artisti come Woody Allen e Kevin Spacey è semplicemente orribile».
È felice della sua carriera?
«Sono fiera di aver messo insieme le amicizie, il cinema, la famiglia. Questa continuità dà un senso alle cose che faccio. E trasforma il mio lavoro in una festa».