Il Messaggero, 5 novembre 2018
«Così pulisco lo Spazio dai detriti»
Dopo esser ben lontani dal risolvere il problema dei rifiuti sulla Terra, si è aperto un altro fronte urgente: lo Spazio. La spazzatura detriti di satelliti o satelliti interi ormai in disuso occupa sempre di più le due orbite più utilizzate attorno al nostro pianeta. I dati allarmanti non riguardano soltanto gli ottomila satelliti spediti nello spazio dal primo Sputnik del 1957 a oggi. È il futuro immediato a preoccupare. Dopo la liberalizzazione del settore (ultima è stata la Cina, 4 anni fa), i lanci privati si sono moltiplicati. Due esempi. SpaceX, l’azienda di Elon Musk è in attesa di approvazione dalla Commissione federale americana per le comunicazioni per il lancio di 12.000 satelliti dedicati a Internet. La società di telecomunicazione europea Oneweb ha appena ricevuto l’ok dallo stesso ente per 720 satelliti ed è in attesa per altri 1260.
Questa nuova era spaziale deve fare i conti con un ambiente in cui gravita mezzo milione di detriti delle dimensioni di una biglia e sono presenti altri 20 mila frammenti più grandi di una palla da tennis, per un totale di ottomila tonnellate di spazzatura letale. L’ultimo allarme è stato lanciato a Vienna durante la sessione del Comitato dell’Onu per l’uso pacifico dello spazio, dal responsabile scientifico della Nasa per i detriti orbitali, Jer Chyi Liou.
Di quest’emergenza, che riguarda sia la sicurezza degli uomini (si pensi al film Gravity di Alfonso Cuarón) e in futuro dei robot nello Spazio, sia il funzionamento di servizi essenziali per la sicurezza e la comunicazione della popolazione terrestre, si occupa il Clean Space dell’ESsa, l’ente spaziale europeo. Abbiamo parlato con la responsabile, il fisico Luisa Innocenti.
Quali sono i compiti di Clean Space?
«Questo ufficio dell’Esa si occupa di minimizzare gli impatti ambientali delle missioni spaziali attraverso l’ecoDesign delle missioni future, il progetto CleanSat, per lo sviluppo di tecnologie per la gestione di fine vita dei satelliti, e la missione e.Deorbit per la rimozione di detriti di portata significativa».
Quali sono stati in passato gli eventi più problematici? La vita umana nello spazio è mai stata messa a rischio?
«Gli incidenti più importanti per la formazione di detriti sono stati due. La collisione tra Iriudium, un satellite operativo americano, e un detrito russo; e l’esplosione a scopo dimostrativo da parte dei cinesi di uno dei loro satelliti Fengyun-1C. Il livello dei detriti continua ad aumentare perché i nuovi satelliti spesso non eseguono le manovre di fine vita come richiesto dalle nuove linee guida internazionali».
Quali sono le orbite più a rischio d’incidenti?
«Le orbite più congestionate sono la Low Earth Orbit LEO (fino a 2000 km) dove sono posizionati i satelliti di osservazione della Terra che forniscono i servizi di meteorologia e di monitoraggio dei disastri, e la GEO, l’orbita geostazionaria dove sono collocati i satelliti per le telecomunicazioni».
C’è chi sostiene che siamo già arrivati al punto di non ritorno. È così?
«È molto difficile sapere quando il problema non sarà più controllabile, perché dipende da due fattori che non conosciamo ancora. Quanti satelliti lanceremo nel futuro? Quanti di essi faranno le necessarie manovre di fine vita? Su questi due parametri possiamo soltanto ipotizzare scenari diversi».
Qual è l’incidente più temuto?
«La collisione tra due detriti e in particolare con un detrito grande (tra le 5 e le 10 tonnellate). Questo tipo di collisione provocherebbe la creazione di migliaia di altri detriti, rendendo le orbite inutilizzabili».
In che misura, la nuova corsa allo spazio pubblica e privata e il turismo spaziale degli anni a venire può peggiorare la situazione?
«Gli scenari sull’evoluzione della popolazione dei detriti si basano sul numero di satelliti lanciati. Oggi come oggi lanciamo mondialmente circa 100 satelliti l’anno; se questo numero dovesse aumentare, la gestione dei detriti sarebbe più complicata. Il rischio maggiore deriva da un utilizzo sfrenato dello Spazio, da parte di compagnie che abbandonano i loro satelliti a fine vita in orbita».
Sono migliaia i satelliti inutilizzati che orbitano attorno alla Terra. A che punto sono i vostri progetti per il recupero?
«Le missioni di recupero di Envisat (un satellite sviluppato dall’Esa, grande come un autobus e che vaga nello Spazio, ndr) e.Deorbit hanno raggiunto quella che in gergo spaziale chiamiamo phase B1. Per proseguire, avremmo bisogno di un investimento di una decina di milioni che purtroppo non abbiamo ancora. Nel frattempo continuiamo a sviluppare le principali tecnologie per il recupero dei detriti: il braccio robotico e la rete».
Sono già in costruzione satelliti che integrino nella progettazione la gestione della loro fine vita?
«Sì,e per questo siamo molto fieri della collaborazione con il Direttorato di osservazione della Terra dell’Esa, che sta progettando le nuove missioni tenendo conto sin dall’inizio la gestione di fine vita dei satelliti».