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 2018  novembre 05 Lunedì calendario

Che errore liquidare Casa Italia

Dalle valli venete ridotte a paesaggi lunari ai morti di Casteldaccia in Sicilia, il bilancio complessivo in tutta Italia dell’inizio tardivo di autunno è purtroppo questa volta ancor più grave di quelli cui gli ultimi anni ci hanno purtroppo abituati. Dove per abituati non bisogna intendere gli italiani che ne restano tragicamente colpiti, ma il nostro sistema politico-istituzionale. Siamo un Paese purtroppo esposto a classi di rischio sismico e idrogeologico elevate, abbiamo ormai mappature precise e recenti della percentuale di territorio, popolazione ed attività economiche esposti al rischio, dal più al meno grave ma comunque significativo. Eppure ogni volta ci ritroviamo con risposte che si devono alla sferza delle vittime e dell’emergenza, ma non possono contare su architetture istituzionali rodate, progetti di lungo periodo e risorse adeguate. 
Dopo il violento sisma che colpì a due riprese il Centro Italia nel 2016 e ancora nel gennaio 2017, il governo Renzi mise in moto prima una struttura di missione e poi un Dipartimento ad hoc che venne chiamato Casa Italia. 
Incaricato della ricognizione di tutti i dati necessari e dei maggiori progetti su cui incanalare gli interventi prima a fronte del rischio sismico e poi di quello idrogeologico, nell’estate 2017 il rettore del Politecnico di Milano Giovanni Azzone che lo coordinava consegnò al governo Gentiloni un corposo rapporto sullo stato di rischio del patrimonio abitativo italiano. Erano quantificate in 25 miliardi le risorse necessarie alla riqualificazione antisismica degli edifici nei soli 648 Comuni esposti a maggior rischio, attraverso un bonus ai privati che saliva al 70 o 80% delle spese se l’intervento riduceva il rischio di una o due classi. Gentiloni rispose che alla messa in sicurezza sarebbero andati 8 miliardi. Ma era compresa anche la sicurezza degli edifici pubblici e scuole nonché i fondi per polizia e vigili del fuoco. Per capire meglio: sempre stando al rapporto di Casa Italia, se si volesse intervenire su tutti gli edifici costruiti nelle aree a maggior rischio prima delle prime norme antisismiche di metà anni Settanta, servirebbero 46,4 miliardi. Mettere in sicurezza le case di tutti i Comuni italiani costerebbe addirittura 850 miliardi.
Quanto al rischio idrogeologico, anche su di esso abbiamo una mappatura recentissima, quella effettuata ogni anno dall’ Ispra, l’Istituto Superiore per la Protezione e Ricerca Ambientale. Nel suo Rapporto 2018, la popolazione a rischio frane in Italia nelle aree soggette a classe di pericolosità elevata e molto elevata ammonta a un milione e duecento ottantamila abitanti. Gli edifici sono 550 mila pari al 3,8% del totale italiano. Le unità d’impresa sono 83 mila, con 218 mila addetti. Gli italiani esposti a rischio alluvioni sono invece purtroppo 2 milioni e centomila nello scenario di pericolosità più elevata, e ben 6 milioni e quasi duecentomila esposti a pericolosità media. Gli edifici a rischio alluvioni in Italia sono 1.350 mila, e 600 mila le imprese con oltre 2 milioni di addetti. 
Sia per il rischio sismico, sia per quello idrogeologico, con l’attività di raccolta e valutazione dati di questi ultimi anni conosciamo regione per regione e provincia per provincia le aree territoriali più esposte. Come conosciamo ormai anche i drammatici dati dell’ulteriore fenomeno che si aggiunge ai rischi naturali: quello della sistematica avanzata dell’abusivismo edilizio e della cementificazione dei territori. Per il solo abusivismo i tre maxi condoni susseguitisi nel 1985, 1994 e 2003 che registrano ancora decine e decine di migliaia di pratiche aperte non hanno fermato il fenomeno ma l’hanno incoraggiato. Il recente rapporto Legambiente sul tema stima che nell’ultimo decennio la percentuale di immobili abusivi sia salita al 19,8% del totale. Di qui la pressione costante sulla politica a nuovi condoni, anche l’attuale governo ne ha inserito uno del decreto su Ischia. Mentre gli abbattimenti di edifici abusivi ordinati dalla magistratura segnano il passo: di oltre 71 mila disposti dalla magistratura in 15 anni ne risultano oggi eseguiti solo 14 mila, e al Sud le esecuzioni scendono al lumicino (in Campania solo il 3% delle ordinate). Non è purtroppo un caso, che le vittime di Casteldaccia siano avvenute in un villino colpito da ordinanza di abbattimento impugnata. Perché lì non si doveva costruire. Ma i sindaci considerano gli abbattimenti impopolari.
Non è una buona idea, a fronte di tutto questo, dichiarare come ha fatto ieri il governo che non ci servono i soldi europei, e in questo caso si trattava di 800 milioni finanziati dalla Bei. Ci servono eccome: non solo attingere al Fondo apposito Ue contro i disastri naturali, come ha ricordato il presidente del parlamento europeo Tajani. Ma anche al nuovo strumento creato da Bruxelles nel luglio del 2017, che estende il cofinanziamento Ue in certe condizioni anche fino al 95% delle cifre impegnate. Non è stata neppure una buona idea liquidare e chiudere Casa Italia, come ha fatto a luglio scorso il governo attuale, tornando a redistribuire tra i diversi ministeri le competenze. Col risultato che ora occorre una nuova cabina di regia e s’invocano nuove deroghe. In ogni caso, le cifre necessarie ammontano a decine e decine di miliardi, punti interi di Pil. Non solo serve un soggetto pubblico che abbia pieno coordinamento di tutti gli interventi per gli anni a venire, invece di cambiare idea e abbattere l’esistente a ogni elezione e cambio di maggioranze. Serve un progetto complessivo del Paese, che spinga con adeguati incentivi milioni di italiani e di imprese a investire di più nella propria sicurezza. Abbiamo scritto innumerevoli volte ciò che occorre. Ma restiamo in attesa di qualcuno che lo faccia per davvero.