La Stampa, 5 novembre 2018
Tra i ragazzi schiavi dei nuovi spinelli sintetici
«A diciott’anni non avevo paura di nulla, volevo provare tutte le droghe del mondo. E lo feci». Seduto dietro al tavolo di legno di una piccola sala della Comunità di San Patrignano, Davide Cucchi racconta una storia di gioventù bruciata: la sua. «Iniziai con le sostanze al liceo. Dai 16 ai 25 anni non c’è stato un solo giorno in cui io sia stato lucido. Prendevo ecstasy, ketamina, Lsd, cocaina. La spice la scoprii più tardi, in Cina: ero andato a trovare mio fratello che viveva laggiù, volevo disintossicarmi ma quella nuova sostanza mi travolse. La usavo quotidianamente, lo sballo durava pochi minuti ma era molto intenso. Come finivo di fumare una canna, ne preparavo subito un’altra».
Oggi Davide studia da odontotecnico, sa di essere un sopravvissuto: «Qualche mese dopo, tornato in Italia, toccai il fondo. Ero a casa, avevo sniffato una polvere sintetica, mi ritrovai per terra rantolante. Il cuore stava per scoppiare, credevo di morire. Per fortuna il cane iniziò ad abbaiare e arrivarono a salvarmi».
L’erba maledetta
C’è un numero che più di ogni altro spaventa chi si occupa di lotta alle droghe. Il 13,9% degli studenti italiani (360 mila ragazzi) ha riferito di aver consumato spice, ossia cannabinoidi sintetici. Il trend è in forte crescita: un anno prima, nel 2016, la percentuale era dell’11,6%. Si tratta di miscugli di erbe essiccate sulle quali vengono spruzzate sostanze chimiche. «Ne esistono almeno 80 tipi», spiega Antonio Boschini, infettivologo e responsabile terapeutico di San Patrignano. Gli effetti psicotropi sono devastanti, molto più potenti di marijuana e hashish. «Sempre più spesso arrivano qui ragazzi che hanno sviluppato disturbi mentali a causa dell’abuso di queste droghe», racconta il medico. Si va dalle crisi di panico, ai comportamenti ossessivo-compulsivi, fino a vere e proprie psicosi.
Queste nuove sostanze danno forte dipendenza. Ne sa qualcosa Michele, 26enne di Ancona: «Per un lungo periodo ho fumato Dmt [dimetiltriptammina, n.d.r.]. Mi dava allucinazioni visive, non ero cosciente della pericolosità. A darmi la forza di disintossicarmi è stata la nascita di mia figlia, oggi ha tre anni». Arrotola la maglietta e scopre il tatuaggio sulla spalla, raffigura una bambina che ride.
Dalla collina di San Patrignano si vede il mare. Quando soffia lo scirocco l’odore della salsedine arriva fin quassù, in questa cittadella di 1300 ragazzi sopra Riccione dove ogni giorno lavorano 200 dipendenti e un centinaio di volontari. Alle 10 di mattina suona la campanella e Joseph è il primo a schizzare fuori dall’aula dove studia italiano. Originario del Marocco, ha vissuto con la famiglia in Francia fino a 16 anni. Poi il trasferimento a Pordenone. «Ma è in Romania che ho fumato per la prima volta la spice - racconta -. Ero in vacanza con alcuni ragazzi, non avevo mai provato nulla di simile. Tornato in Italia ho cominciato a usarla tutti i giorni, sono andato avanti per sei mesi. Era un’ossessione, per pagarmi la droga spacciavo e rubavo. Mia madre minacciò di buttarmi fuori di casa». La vita di Joseph è cambiata un anno e mezzo fa con l’ingresso in comunità. «Il mio sogno? Ne ho troppi...», dice liberando una risata contagiosa. Poi si fa serio: «Sono un bravo cameriere, quando uscirò di qui mi piacerebbe lavorare sulle navi da crociera».
Le rotte dello sballo
Nell’ultimo anno i sequestri di droghe sintetiche in Italia sono raddoppiati. Il nuovo sballo viene sintetizzato nei laboratori d’Oriente: Cina, Vietnam, Bangladesh. Entra in Europa dal porto di Rotterdam e sempre più spesso finisce negli spinelli dei ragazzi italiani. Che iniziano usare sostanze sempre più precocemente. Flavia ha diciotto anni e tutta la vita davanti: «Ho preso le prime pasticche alle medie. Credevo che solo l’eroina fosse una droga. Sbagliavo». Ginevra è poco più grande, muove le mani rapida e sicura sul telaio nel settore della comunità che produce filati: «Ho cominciato a 15 anni, frequentavo i rave party. Mdma, speed, ketamina: ho sperimentato quasi tutte le droghe sintetiche. Dopo qualche mese non mi bastava più e così ho iniziato a prendere sostanze anche a scuola». Accanto a lei c’è Alessia, romana di 21 anni arrivata a San Patrignano per disintossicarsi assieme al suo fidanzato. Porta i capelli corti, indossa un orecchino di perla. Racconta la sua storia di ribellione e dipendenze: «Quando ero bambina piangevo ogni volta che sentivo parlare di qualche catastrofe. In giro c’è troppo pessimismo, basta. Finora nella mia vita ci sono state tante cose brutte, ora voglio solo quelle belle».
Nel settore magazzini lavora un gruppo di ragazzi affiatato. Ridono e scherzano mentre smistano scatoloni. Il più anziano del gruppo è Simone (nome di fantasia). Ha 39 anni e viene dal Veneto. «Mi laureai con una tesi sugli oppiacei. Con un socio aprimmo la nostra farmacia, fu in quel periodo che provai il Fentanyl». Si tratta di un oppioide sintetico molto più potente della morfina, usato come antidolorifico. Si stima che solo negli Usa il suo abuso abbia causato più di 60 mila morti per overdose. «Decisi di cambiare vita dopo un’intossicazione acuta al fegato. Rimasi 40 giorni in ospedale. Familiari e amici venivano a trovarmi, io non riuscivo nemmeno a guardarli in faccia». Ricominciare non sarà facile, ma Simone oggi una certezza ce l’ha: «Prima avevo tutto e stavo male, oggi non ho niente e sto bene». Fuori dalla finestra c’è il mondo che lo aspetta.