La Stampa, 5 novembre 2018
Decrescita felice, no da 2 italiani su 3
Crescere o decrescere? Meglio crescere, dando più attenzione alle nuove dimensioni dello sviluppo come la sostenibilità e l’attenzione all’ambiente. Insomma, dobbiamo proseguire a produrre e lavorare ponendo al centro la qualità del progresso. La prospettiva di una decrescita non rientra nell’orizzonte di vita delle persone. Di fronte al dilemma, è netto l’indirizzo che emerge dagli italiani interpellati nell’ultima ricerca di Community Media Research, in collaborazione con Intesa Sanpaolo, per La Stampa. Ed è un’indicazione in controtendenza rispetto a quanto stiamo assistendo in questi mesi, dove il motivo di fondo – in particolare dell’esecutivo giallo-verde, pur con alcuni distinguo interni – è marcato da un atteggiamento di negatività nei confronti di qualsiasi opera di rilievo e verso i ceti produttivi.
La Tav, i Giochi e il Brennero
Dietro l’ormai reiterata e stereotipata richiesta di voler valutare il rapporto costi-benefici per ogni opera, si prospetta l’intenzione (si passi la metafora) di tirare il freno a mano di un’auto che peraltro già procede troppo lentamente. E la stima ultima della non-crescita del Pil nel terzo trimestre di quest’anno è lì a ricordarlo. Prima l’Ilva e poi il Tap, cui invece hanno dovuto obtorto collo dare il via libera. Ma il No ai Giochi olimpici a Roma, quello pronunciato dal Comune di Torino sulla Tav e l’addio ai Giochi invernali con Milano e Cortina, i dubbi pronunciati sulla Tav a Nord-Est, il Tunnel del Brennero, la superstrada Pedemontana, e sicuramente scordiamo altre opere, sottendono una visione negativa dello sviluppo.
Ora, non c’è dubbio che un insieme di scelte operate da amministratori locali e nazionali, da imprese, ma anche da privati cittadini (si veda il caso degli abusi edilizi) non abbiano saputo salvaguardare una crescita ordinata e lungimirante delle nostre città, del territorio e dell’ambiente. Dagli effetti dei cambiamenti climatici sul nostro ambiente, all’inquinamento; dalla carenza delle infrastrutture, alla cementificazione del territorio: gli esempi negativi non mancano. Tuttavia, l’interrogativo è se per re-indirizzare lo sviluppo si debba buttare via il bambino con l’acqua sporca oppure distinguere attentamente i pro e i contro, e con la dovuta progressione spostare le politiche su uno sviluppo legato all’innovazione e alla sostenibilità. Ed è proprio questa l’indicazione che emerge dalla grande maggioranza degli intervistati. Due terzi degli italiani (65,6%) considera necessario continuare a produrre e lavorare per poter crescere, ma sottolineando la necessità di prestare una maggiore attenzione alla qualità dello sviluppo, proprio per evitare gli errori del passato. A questa visione si affianca una prospettiva conservatrice della crescita, legata al timore di perdere la ricchezza acquisita (18,8%) e quindi di proseguire lungo la strada fin qui percorsa.
Sfumature diverse
Dunque, pur con sfumature diverse, complessivamente più dei quattro quinti (84,4%) della popolazione guarda al futuro con l’aspettativa di continuare a progredire. Una visione vicina all’idea di decrescita, invece, accarezza una quota largamente minoritaria, benché non marginale, degli intervistati: in generale, il 15,6% ritiene che una maggiore qualità dello sviluppo deve avvenire riducendo il ritmo della crescita (11,8%) e il 3,8% pensa che il benessere accumulato sia più che sufficiente: la strategia è quella di difenderlo.
Così, possiamo identificare tre visioni dello sviluppo. Quella più consistente e che abbraccia la grande maggioranza della popolazione (65,6%) disegna uno «sviluppo qualitativo»: è necessario continuare a crescere, ma diversamente dal passato. È una prospettiva condivisa soprattutto dalle giovani generazioni e dagli studenti, dagli imprenditori, da chi ha un titolo di studio più elevato e vive nel Nord Italia. La prospettiva di una «crescita tradizionale», in linea col passato, coinvolge il 18,8% degli interpellati, in particolare fra chi ha un basso titolo di studio, le casalinghe e i pensionati e, emblematicamente, chi vive nel Mezzogiorno e non ha ancora conosciuto una reale crescita economica. La visione della «decrescita» (15,6%) interessa maggiormente chi ha raggiunto già posizioni lavorative di rilievo (come i dirigenti) e, per converso, i disoccupati che plausibilmente in questo modo avvertirebbero di meno la perdita di status. Ma è a Nord-Est che la decrescita fa proporzionalmente maggiori adepti: territorio ricco economicamente, frutto di una crescita avvenuta in modo effervescente, ma anche disordinata che non pochi disastri ha realizzato sul territorio.
Necessità reali
Che ci sia bisogno di immaginare uno sviluppo ulteriore del nostro Paese non è soltanto un’ideale astratto, ma è ancorato a reali necessità. È sufficiente osservare la valutazione degli italiani verso una serie di servizi del nostro Paese, rispetto alla media europea, per comprenderlo. L’unico servizio che ritengono analogo o migliore su scala europea è il sistema sanitario (63,8%). Sebbene con grandi differenze territoriali: largamente promosso a Nord-Est (83,6%) e a Nord-Ovest (75,8%), ampiamente bocciato nel Mezzogiorno (46,0%). Per il resto della classifica, i servizi proposti si collocano ben al di sotto della media continentale. Nell’ordine troviamo il sistema scolastico (42,3%), la connettività (wi-fi/Internet/banda larga: 37,5%), il sistema infrastrutturale (strade, autostrade, aeroporti: 33,1%) e delle ferrovie (30,1%), il fisco (15,0%). Ciascuna di queste voci conosce divari territoriali significativi, ma in generale tutti prefigurano un grave ritardo rispetto alla media europea. Di qui, l’idea del futuro del Paese, fondata su esigenze reali, non può essere segnata da un generale «fermiamo le macchine» o da cesure nette (irrealistiche) col passato. Perché viviamo in un sistema di relazioni nazionali e internazionali complesso e che va gestito adeguatamente: con capacità di mediazione, interlocuzione e prospettive chiare sullo sviluppo. La misura del Pil non contiene (ancora) la felicità delle persone, ma per ridare loro felicità è necessario costruire il Pil. No Pil? No party.