la Repubblica, 5 novembre 2018
Il boom degli e-sport e delle gare di videogiochi
SHANGHAI L’ultima difesa dell’armata europea è caduta. Mentre i 50 mila spettatori di Incheon gridano impazziti, lo sguardo incollato ai maxischermi dello stadio, in un tripudio di incantesimi l’orda di orchi e maghi si scaglia contro la base nemica. È fatta: i ragazzi di Invictus lanciano cuffie e tastiera per abbracciarsi in lacrime, sono campioni del mondo. Il quintetto cinese ha annichilito in mondovisione gli europei di Fnatic, tre partite secche a zero; lo ha fatto in Corea del Sud, il tempio della nuova mania planetaria chiamata e-sport; e per giunta proprio a League of Legends, il videogioco più antico e amato, due eserciti fantastici che si promettono reciproca distruzione. Per Rookie, Ning e Baolang, i loro nomignoli d’arte, l’assegno da un milione di dollari vinto sabato è solo l’inizio. Li aspetta la celebrità, selfie autografi e sponsor, come un Ronaldo o un LeBron James.
Prima o poi toccherà decidere se gli e-sport, campionati professionali di videogiochi, siano davvero sport, se un gol all’angolino con il joystick valga quanto quello su un prato. Nel frattempo è un fatto che per milioni di ragazzi, il tutto esaurito in Corea lo conferma, lo spettacolo è altrettanto entusiasmante.Calcio, auto o battaglie fra mostri, dal vivo o in streaming su Twitch, la piattaforma di Amazon che trasmette le gare: gli spettatori delle discipline virtuali sono 380 milioni, quattro volte il Superbowl. Per metà in Asia e soprattutto under25, i consumatori di domani. Per questo aziende come Coca Cola o Intel fanno a gara per mettere il proprio marchio su questi tornei.
Secondo gli analisti di Newzoo il mercato degli e-sport vale un miliardo l’anno, in crescita costante. Campioncini come il 25enne tedesco Kuro Takhasomi, specialità Dota 2, vengono contesi dalle squadre a suon di dollaroni. Il Dream Team di Invictus, giocatori cinesi e coreani, è stato assemblato dal figlio di Wang Jianlin, patron di Wanda e terzo uomo più ricco della Cina.
E se l’Oriente resta la culla dell’agonismo su schermo, introdotto quest’anno come disciplina dimostrativa ai Giochi asiatici, anche il resto del mondo si adegua. In Europa diverse squadre di calcio, compreso l’Empoli, hanno creato il loro team di e-pallone. Negli Stati Uniti i college offrono borse di studio per i talenti della tastiera, così come fanno per le promesse di basket e football. Non sorprende che in una tale moltiplicazione di tornei dai montepremi a sei zeri siano arrivati anche gli eccessi. Il doping per esempio: un paio di anni fa alcuni assi della tastiera hanno rivelato di aver assunto degli stimolanti prima delle partite. Nessun Paese incarna queste contraddizioni più della Cina, dove il giro degli e-sport cresce a ritmi esponenziali. Il governo comunista ha bloccato l’uscita di nuovi videogiochi, preoccupato per la salute fisica e mentale dei suoi adolescenti, mandando in crisi i colossi del settore come Tencent. Che si consolano però vedendo spuntare arene speciali per e-sport in ogni metropoli, strapiene di ragazzini venuti ad ammirare le mosse dei loro idoli. Per riprovarci a casa basta un computer.