la Repubblica, 5 novembre 2018
Lo zio ribelle e il cugino libero: a Riad è Game of Thrones
Uno zio ribelle che torna a casa dopo anni di esilio. Un cugino detenuto per quasi un anno, ora liberato. Un secondo cugino detenuto, il più potente dei tre, del quale si attende a breve il ritorno, a suggello dell’unità familiare. Il gioco di potere che si è aperto a Riad dopo l’assassinio del giornalista dissidente Jamal Khashoggi, ucciso nel consolato saudita di Istanbul da un commando inviato dall’Arabia Saudita, si muove intorno a queste figure. Quasi fosse una partita a scacchi, il Re (in questo caso Salman, 83 anni) gestisce tutte le altre pedine per assicurarsi il trionfo finale: il suo e quello del figlio prediletto, Mohammed Bin Salman, che a 32 anni, e senza nessuna esperienza di governo, ha portato a un soffio dal trono del più importante Paese del mondo arabo. E che oggi, grazie all’irruenza e alla spietatezza con cui i suoi consiglieri e forse lui stesso hanno gestito la questione Khashoggi, rischia di ritrovarsi impossibilitato a prendere il comando.
Così per rafforzare il traballante figlio, Salman richiama intorno a lui tutti quei membri della famiglia reale che nella sua rapidissima ascesa al potere Mbs aveva esautorato, spesso con mezzi violenti. Ecco dunque così il rientro da Londra di Ahmed Bin Abdulaziz, unico fratello di sangue di re Salman, l’ultimo esponente dei Sette Sudairi, i figli della moglie preferita del fondatore del Paese, che per decenni si sono spartiti le posizioni più importanti, proteggendosi l’uno con l’altro. Ahmed aveva rotto il patto nel 2016, quando aveva rifiutato di giurare obbedienza al giovane nipote che il fratello aveva voluto come erede. Questo lo aveva trasformato nel punto di riferimento dei tanti che, fra gli Al Saud e non solo, cercavano un’alternativa allo strapotere di Mbs. Ma nel momento più difficile ha scelto di schierarsi con fratello e nipote.«Quelli che pensano che ci sarà un cambio nella linea di successione al trono si sbagliano. L’intera famiglia si sente sotto attacco, non soltanto Mohammed Bin Salman», aveva detto qualche giorno fa Turki Bin Faisal, a lungo capo e amico di Khashoggi, l’unico fra i reali ad affrontare apertamente la questione. Una difesa a tutto campo del nipote mai troppo amato che è la stessa che, in modo diverso, ha fatto il fratello di Turki, Khaled, 78 anni, una delle più rispettate figure della famiglia: a lui re Salman ha affidato il compito di andare a Istanbul per trattare con Erdogan il caso Khashoggi. Solo dopo aver parlato con lui il sovrano si sarebbe convinto della gravità dei fatti. A Khaled, scommettono parecchi analisti, re Salman potrebbe affidare il ruolo di” precettore” dell’erede, nominandolo ministro degli Esteri o della Sicurezza. «C’è una sola persona che può sfidare Mbs, ed è il re – spiega Joseph A. Kechichian, del think tank King Faisal di Riad – sul tavolo ci sono diverse opzioni: solo il tempo ci dirà quale sceglierà».
Per ora l’ipotesi sembra quella della via di mezzo: la liberazione, venerdì, di Khaled bin Talal, uno degli ultimi prigionieri della retata anti- corruzione del 2017, è un ramoscello di ulivo teso a quella parte della famiglia ( il fratello è Waleed Bin Talal, il principe ex miliardario spogliato della maggior parte dei suoi beni) che ha pagato uno dei prezzi maggiori alle ambizioni di Mbs. Se, come ci si aspetta, sarà seguita da quella del principe Turki Bin Abdallah, figlio del re precedente, il segnale sarà chiaro: Salman ha bisogno di tutta la famiglia. «Nella migliore delle ipotesi l’omicidio Khashoggi è avvenuto sotto gli occhi di Mbs: ora ne paga il prezzo», spiega un diplomatico occidentale a Riad. Per questo molti si aspettano il ritorno in primo piano di personaggi ora accantonati. Come negli scacchi, lo scopo ultimo è salvare le pedine più importante: per salvarsi tutti con esse.