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 2018  novembre 05 Lunedì calendario

Alitalia, vendere oppure rilanciare?

Ci risiamo: terzo salvataggio di Alitalia in dieci anni! Come si fa a perdere tre miliardi di euro in un mercato, quello italiano, che intanto è passato dai 50 milioni di passeggeri nel 1997, ai 143,7 milioni nel 2017?
Il perché di tanti fallimentiDa quando, nel 2008, Alitalia fu data ai privati ripulita dai debiti (Cai), il cuore del fallimento è rappresentato da una straordinaria combinazione di piani industriali sbagliati e incapacità di gestire i costi.
L’errore più grave si verifica nel 2009 con il disimpegno dal settore più remunerativo, il lungo raggio. In tutti i Paesi europei i vettori tradizionali l’hanno aumentato e, inoltre, lo Stato ha difeso le compagnie di bandiera, impedendo alle low cost di usare gli aeroporti più importanti. Noi abbiamo fatto il contrario: oggi l’Italia è, tra i grandi Paesi europei, quello nel quale le low cost hanno le più alte quote di mercato.
A risollevare le sorti, il primo gennaio 2015, arrivano gli arabi di Etihad: con 387 milioni di euro si comprano il 49% della società. «Allacciate le cinture, Alitalia decolla per nuove destinazioni» disse l’allora premier Matteo Renzi. Gli arabi annunciano che punteranno sul lungo raggio e aumenteranno la flotta, però poi vendono 21 aerei, indebolendo ulteriormente la compagnia che passa da 139 velivoli a 118. Attuano poi una politica industriale che in due anni e mezzo, anziché decollare per nuovi orizzonti, è costretta a un veloce atterraggio d’emergenza.
Etihad: incompetenti o filibustieri?Luca Cordero di Montezemolo, presidente Alitalia fino a marzo 2017, ha dichiarato: «Ci sono state cose poco chiare nella gestione di Etihad». Vediamole.
Con 60 milioni compra a Heathrow i cinque slot di Alitalia, e glieli riaffitta a 3,7 milioni all’anno. Secondo una perizia degli attuali commissari il prezzo è in linea con il mercato, secondo altri esperti no. Capire quale sia il valore giusto non è facile, ma il prezzo degli slot Alitalia è fra i più bassi degli ultimi anni.
I cinquemila piloti e assistenti di volo vengono mandati a rotazione quattro giorni ad Abu Dhabi per sviluppare lo spirito di corpo. Sempre ad Abu Dhabi viene rifatta la livrea degli aerei di lungo raggio (che viaggiano vuoti andata e ritorno). Il tutto a spese di Alitalia.
Il vecchio sistema informatico va bene, ma gli arabi impongono il loro, Sabre: costa 57 milioni di euro, più altri 35 annui per diritti di prenotazione per dieci anni. «Un programma caro e insoddisfacente» dirà il commissario Luigi Gubitosi.
La manutenzione pesante viene smantellata e affidata all’israeliana Bedek, così i pezzi da revisionare vanno spediti ogni volta a Tel Aviv. Etihad firma contratti di copertura delle variazioni del prezzo del carburante a prezzi superiori alla media di mercato, nonostante il petrolio sia in costante calo dal 2014 al 2016, pertanto mentre il greggio oscilla tra i 30 e 45 dollari al barile, Alitalia ne paga 65. Così come più cari del 20% sono i leasing per la flotta: i costi aggiuntivi raggiungono i 90 milioni all’anno. Infine la compagnia emiratina chiude Alitalia Cargo (che ha buone performance) e ne assorbe il business con Etihad Cargo.
Poi c’è il famoso Airbus 340 per la presidenza del Consiglio, che il ministero della Difesa prende in leasing da Etihad, tramite Alitalia, per 144 milioni di euro in otto anni. Un quadrimotore fuori produzione dal 2011 perché consumava troppo: l’ultimo era stato venduto a 27 milioni di euro (fonte Air Transport World).
In due anni e mezzo la compagnia ha perso circa un miliardo di euro. Sulla sua gestione indaga la magistratura: l’ipotesi è quella della bancarotta fraudolenta.
Il 2 maggio 2017 arrivano i commissari Luigi Gubitosi, Stefano Paleari e Enrico Laghi (in aria di conflitto di interessi perché presente da anni in Alitalia come presidente della Midco, la Spa attraverso cui la Cai controllava l’azienda con il 51%).
La situazione è drammatica: Alitalia ha già venduto 4,5 milioni i biglietti per un valore di 530 milioni di euro, ma in cassa ce ne sono solo 83. L’ossigeno arriva ancora una volta dallo Stato, con un prestito ponte da 900 milioni. La mission dei commissari è chiara: un anno e mezzo di tempo per risanare la compagnia e poi metterla sul mercato al miglior offerente. Vengono rinegoziati i contratti di leasing, cambiato il fornitore di catering, tagliati i costi commerciali e il numero dei dirigenti (passati da 64 a 50); ridato vita al settore Cargo, e riportato all’interno la manutenzione pesante. Dopo poco più di un anno è aumentata la vendita dei biglietti digitalizzati e le ore di volo, mentre il lungo raggio, di gran lunga il settore più remunerativo, sale del 7,3%. Viene ottimizzato l’handling (-30% di bagagli persi nel 2018), e Alitalia conquista il secondo posto per puntualità in arrivo a livello europeo. Oggi i ricavi sono saliti del 7% e le perdite scese di circa l’80%.
È importante avere una compagnia di bandiera?Il tempo è scaduto il 31 Ottobre. Ora le opzioni sono due: vendere o rilanciare. Tutti gli operatori interessati all’acquisto hanno chiesto pesanti tagli sul personale, anche se il costo dei dipendenti è in linea con quello delle altre compagnie (20% del totale). Per rilanciare, invece, servono due miliardi di euro. Il governo ha messo in campo Ferrovie, ma ci vuole un partner tecnico. Gli aspiranti sono Delta, Easyjet, China Airlines mentre, a bordo campo, Lufthansa osserva. Il 15 dicembre scade anche il prestito da 900 milioni di euro (più il 10% di interessi), ma in cassa ce ne sono 700 e si prevede una proroga. Domanda: dopo aver sperimentato ogni sorta di gestione disastrosa, conviene riprendersi la nostra ex compagnia di bandiera? Se si guarda all’andamento di mercato la risposta è sì. Secondo la Iata, nei prossimi vent’anni i passeggeri nel mondo raddoppieranno rispetto agli attuali 4,3 miliardi ed entro il 2035 in Italia si crescerà del 30%.
Quello che il mercato invece non può fornire è una classe dirigente capace di fare un piano industriale serio e regole di protezione, rispetto alla concorrenza, non sempre corretta in termini fiscali, delle low cost. E sappiamo che la differenza fra un rilancio o un altro fallimento passa dalle mani del manager a cui consegni le chiavi.
Questo è il vero grande tema.