Corriere della Sera, 5 novembre 2018
Sulla giustizia il contratto di governo parla solo di «efficace riforma»
«È scritto nel contratto di governo». Ogni volta che emerge una divisione, o scoppia qualche polemica tra i due partiti che sostengono l’esecutivo, ci si rifugia dietro l’accordo siglato da Cinquestelle e Lega. Sulla riforma della prescrizione il ministro della Giustizia Alfonso Bonafede aveva addirittura giocato d’anticipo, ricorrendo all’abituale formula prima che i colleghi Giulia Bongiorno e Matteo Salvini dicessero che così non va bene. Ma citare il contratto serve a poco se si legge quello che c’è scritto in concreto. Nel caso specifico, due righe: «È necessaria una efficace riforma della prescrizione dei reati, parallelamente alle assunzioni nel comparto giustizia». Le due righe successive fissano l’obiettivo dell’intervento: «Ottenere un processo giusto e tempestivo ed evitare che l’allungamento del processo possa rappresentare il presupposto di una denegata giustizia».
Tutto qui. Come si vede, a parte la dichiarazione d’intenti, di concreto c’è poco o niente. Inevitabile che di fronte a una proposta così radicale (interruzione definitiva del conteggio dei tempi per dichiarare estinto un reato dopo la sentenza di primo grado, qualunque essa sia), per di più contenuta in un emendamento al disegno di legge anticorruzione presentato da due parlamentari all’ultimo momento utile dopo l’apposita proroga dei termini già fissati, si levassero le proteste. Non solo delle opposizioni ma anche degli alleati leghisti, visto che questa materia è di esclusiva pertinenza grillina (nel programma elettorale per «Salvini premier» l’argomento non è contemplato). Un po’ per la portata del provvedimento, e dunque nel merito; un po’ per il modo in cui è stato introdotto, e quindi una questione di metodo.
Una risoluzione così tranciante a un problema dibattuto da anni, che effettivamente esiste ed è stato appena affrontato da una recente modifica, dovrebbe accompagnarsi ad altre riforme strutturali che ne consentano un’applicazione realmente efficace, al di là degli stanziamenti per l’aumento degli organici di personale togato e amministrativo rivendicati da Bonafede. Ad esempio con una depenalizzazione dei reati minori invocata dagli addetti ai lavori (in primo luogo i magistrati) per ridurre il numero dei procedimenti, di cui però non c’è traccia nel famoso contratto. Anzi, nello stesso capitolo sulla giustizia penale è scritto che bisogna «riformare e riordinare» il sistema generato dalle depenalizzazioni varate in passato, al pari della non punibilità per la tenuità del fatto e altre riforme deflattive del contenzioso approvate nelle precedenti legislature. Sempre in termini molto generici, per la verità.
Perché l’incognita dell’accordo siglato tra due partiti che si sono presentati alle elezioni con programmi diversi e in alcuni punti alternativi, è proprio questo: si dice ciò che bisogna fare, magari attraverso uno slogan, ma non come. E su una materia controversa come la giustizia le difficoltà aumentano (era già successo, nella scorsa legislatura, con l’alleanza forzata tra Pd e centrodestra). Anche quando si affrontano temi su cui entrambi i partiti proponevano mutamenti, come il Consiglio superiore della magistratura. Nel contratto si dice che bisogna modificarne il sistema elettorale «per rimuovere le attuali logiche spartitorie e correntizie», senza ulteriori indicazioni; il ministro Bonafede ha ipotizzato «una fase di sorteggio, non integrale», che però presenta dubbi di costituzionalità più volte sottolineati, da ultimo dal presidente della Corte costituzionale.
Quando dovesse arrivare una proposta più dettagliata, è prevedibile che arriveranno le complicazioni, come sulla «rivisitazione della geografia giudiziaria» (tema caro alla Lega) che dovrebbe riportare i tribunali «vicino ai cittadini e alle imprese». Molti piccoli uffici sono stati aboliti di recente, dopo decenni di tentativi andati a vuoto; ora si vuole tornare indietro, ma ancora una volta la genericità del proclama lascia aperta la strada a soluzioni differenti e quindi possibili divisioni. Che sono il presupposto di successivi scambi, accordi o rotture. A seconda del momento e delle convenienze.