«Sono stufo di sentire cose che non corrispondono alla realtà. Le banche non mi stanno simpatiche, ma sono fondamentali in un sistema economico evoluto. Chi ha responsabilità di governo deve farci i conti, gestire situazioni delicate, non semplificare. Mi dà fastidio sentire queste sciocchezze, perché io faccio quello che è nell’interesse degli italiani. E poi Draghi, ma su…».
Cosa?
«È facile capire che è meglio averlo amico che nemico. Molto passa dalla Bce, serve al Paese».
Intanto litigate anche sulla prescrizione: c’è o non c’è nel contratto di governo?
«Non mi intendo di diritto penale, ma non credo che sia nei termini proposti dai relatori della legge».
Quindi emenderete il testo o ne discuterete con l’alleato prima di dare il via libera?
«Ci sarà una discussione. Bonafede si confronterà con i nostri esperti, non c’è dubbio. E troveremo una soluzione».
Ha detto che avete sfiorato la crisi sul dl fiscale. Ieri nuove tensioni: cosa non funziona?
«L’alleanza, come ho spiegato, si basa sulla fiducia reciproca. Se iniziamo a pensare ai sondaggi, ai giornalisti - sempre voi - all’ancien régime che vuole farci litigare per farci cadere, allora finisce male. Sta a noi evitare che accada».
A proposito di sondaggi: il fatto che la Lega voli e il M5S cali mina gli equilibri di governo?
«È un effetto della politica contemporanea. Guardi, in realtà io e Matteo siamo molto preoccupati dai sondaggi sulla Lega. Perché li riteniamo un po’ gonfiati. E poi perché rischiano non solo di dare alla testa agli alleati, ma anche di provocare un’ubriacatura tra qualcuno dei nostri».
Vale anche per Salvini? Difficile immaginarlo con il 30% e non chiedere per sé Palazzo Chigi, non le pare?
«Secondo le regole della politica è sicuramente così, ma Salvini neanche privatamente ha mai espresso questo auspicio. Anche perché se davvero prendiamo il 35% alle Europee e vinciamo in Emilia e Toscana, serve tempo per costruire una classe dirigente all’altezza».
Intanto si registra alta tensione sul reddito di cittadinanza: Di Maio l’accusa di voler frenare.
«È una dichiarazione di un mese fa contenuta in un libro e totalmente decontestualizzata. Il reddito fa parte del contratto. L’obiettivo di tutti è farlo bene. È complicato, lo ribadisco. Dirlo non significa che non si farà, ma che va articolato al meglio, perché ci si gioca molto della credibilità del governo. Ho letto gli attacchi mentre ero a Chigi con Conte a parlare del maltempo, per il quale stanzieremo già la prossima settimana i primi 200 milioni di euro. Sono inutili polemiche, non dobbiamo caderci».
È stato Di Maio ad attaccarla.
«Vabbè, stava partendo per la Cina (sorride, ndr), avrà avuto altro per la testa...».
Quindi il reddito potrebbe partire più tardi del previsto?
«Dipende da questi due mesi. Al ministero è iniziata una corsa per renderlo operativo. Se corrono, il primo gennaio parte. Ma è complicato. Lo stesso vale per quota cento: ancora non siamo pronti».
Non era meglio fare prima la flat tax di reddito e Fornero?
«È chiaro che l’approccio dei mercati e della Commissione sarebbe stato diverso se avessimo diminuito le tasse invece di aumentare le spese, ma ormai è fatta».
Sulla manovra risponderete picche alla Commissione?
«Sulla manovra abbiamo trovato un punto di equilibrio. Sembrava dovessero venire giù gli equilibri mondiali a causa nostra e invece adesso sui mercati va meglio. La vera questione è di forma: Bruxelles non può accettare che un Paese fondatore abbia una deviazione di questo tenore, perché sembra che metta in discussione la legittimità stessa della Commissione. Però adesso il governo ha chiarito che noi non intendiamo sovvertire l’ordine costituito, ma solo implementare la nostra politica».
E i dubbi del Quirinale?
«Il Colle ha chiesto di smetterla di apparire come quelli che vogliono mandare a quel paese la Commissione. E Conte, Di Maio e Salvini hanno chiarito che ci confronteremo . Che diremo la nostra senza delegittimare l’interlocutore».
Veramente programmate di scendere in piazza l’8 dicembre a Roma contro la commissione...
«Ma no, la manifestazione è per ribadire che il governo non fa questa manovra per partito preso, ma per rispondere a un mandato popolare. Per ricordare che anche altri hanno deviato. E che è difficile immaginare una bastonatura nella procedura d’infrazione con una Commissione in scadenza».
Dice? Si ipotizza un conto da 60 miliardi all’anno. Un suicidio per l’Italia, non crede?
«La commissione può ovviamente minacciare quello che vuole, nell’ambito delle regole. Ma l’Europa ha tanti fronti: il debito, la bilancia commerciale, i migranti. Anche gli altri Paesi devono rispettare le regole. Il tavolo negoziale è molto più complesso della sola questione dei bilanci. E comunque, conta di più l’atteggiamento dei mercati».
È ancora possibile ridurre il deficit sotto il 2,4%?
«Un tempo promettevano l’1,3, poi facevano il 3%. Io sostengo che l’obiettivo del 2,4% va rispettato a fine anno. Su questo vigilo: se sforiamo diventa un problema».
Per quanto tempo il sistema può reggere questo spread?
«Aver mostrato che stavolta di spread non viene giù l’esecutivo, che c’è stabilità politica, ha avuto l’effetto di contenere la cosa. Così come aver chiarito che non si può uscire dall’euro».
Ma è sempre a 300.
«Mi rendo conto. In Parlamento sulla manovra serve un comportamento serio e responsabile, restando nel 2,4%. Se sforiamo con emendamenti bizzarri, allora c’è un problema.
Anche per lo spread».
Che intanto danneggia anche il sistema bancario. Resta l’anello debole del sistema?
«Monitoriamo attentamente la situazione. E siamo pronti anche a interventi tempestivi e risoluti. Nel caso servisse, non si potrebbe tentennare. E poi le dico una parola chiave: Var…».
In che senso, Giorgetti?
«Sui mercati Var è il modello che blocca l’acquisto da parte delle tesorerie dei titoli che non soddisfano i requisiti di credibilità. È il vero rischio che corre il sistema italiano, il vero spauracchio. Dobbiamo farci i conti, oltre al Var del calcio c’è anche questo…».