Corriere della Sera, 4 novembre 2018
La vita di un soldato valeva cinquecento lire
Quattro novembre, «Festa della vittoria», la chiamava mio nonno. Che ne era fiero. Classe 1898, gli toccò farle tutte e due le guerre mondiali. Nella Guardia di Finanza. Ne andava orgoglioso, forse ancor più di aver riportato la pelle a casa. Per questo ieri ho riaperto la scatola dei ricordi. Col suo diploma di Cavaliere di Vittorio Veneto, la croce e la medaglia al merito. Le sue foto in bianco e nero in divisa. Nella prima e nella seconda guerra: all’inizio un ragazzino spaurito, poi un uomo che sembra già aver passato la linea di mezzo della vita (e invece è vissuto bene fino a 98 anni). Ma più di tutto mi sono soffermato su un foglio ingiallito dal tempo, datato primo gennaio 1918. È la «Polizza di Assicurazione a favore dei militari combattenti». Con una fredda e burocratica prosa, l’Istituto nazionale delle assicurazioni attesta che «pagherà a Marro Giovanni», il papà di Enrico, mio bisnonno, «la somma di Lire Cinquecento (£ 500) nel caso che avvenga la morte in combattimento, a seguito di ferite riportate combattendo, ovvero a causa di servizio in guerra del Sig. Marro Enrico». L’Ina, come disposto dal governo regio, dava, bontà sua, tre opzioni: pagamento immediato alla morte, 500 lire; dopo 15 anni, mille lire; dopo 20 anni, 1.325 lire. Inoltre, sarebbe stata corrisposta al mio bisnonno «la pensione dovuta a termine di Legge agli eredi di coloro che danno la vita per la libertà e la grandezza della Patria».
Non so a quanto sarebbe ammontata questa pensione, che per fortuna non dovette essere messa in pagamento. Ma mi è venuta la curiosità di capire che valore avesse una vita per la Patria. Applicando gli indici di rivalutazione monetaria dell’Istat, 500 lire del 1918 sarebbero circa 750 euro di oggi, settecentocinquanta. Ma che cosa significavano cioè 500 lire nel 1918? Ho fatto un po’ di ricerche. Nel «Sommario di statistiche storiche dell’Italia 1861-1965» pubblicato dall’Istituto centrale di statistica ho trovato che la retribuzione di un «inserviente» del «personale civile dello Stato», la qualifica più bassa per un impiegato pubblico, era nel periodo 1911-20 di 2.085 lire, quella di un usciere 2.318 lire, quella di un commesso di 3.113 lire. E parliamo di retribuzioni di assoluto rilievo per l’epoca. Nel volume «In ricchezza e in povertà. Il benessere degli italiani dall’Unità a oggi» di Giovanni Vecchi (il Mulino 2011) ho trovato che il Pil pro capite a prezzi correnti nel 1918 fu di 1.907 lire. La vita di un soldato valeva dunque nemmeno tre mesi di stipendio di un «inserviente» e meno di un quarto del Pil pro capite annuo. 500 lire appena.
Il foglio ingiallito si chiude con la scelta di mio nonno per il pagamento «immediato». E la controfirma del comandante della 45esima compagnia della Guardia di Finanza per attestare «l’autenticità della firma o del segno di croce del militare». 500 lire: pochi, maledetti e subito. Soprattutto, maledetti.