Corriere della Sera, 4 novembre 2018
Il test della verità in aeroporto
Un sorriso non servirà più a nulla. E nemmeno uno sguardo sicuro al poliziotto. Quello che bisognerà fare è dire la verità a un agente virtuale che non guarda in faccia a nessuno e allo stesso tempo osserva tutti i volti, analizza 38 caratteristiche diverse e stabilisce se il passeggero è sincero o mente. Aprendo, nell’ultimo caso, le porte di un interrogatorio più lungo, più approfondito e dall’esito incerto.
Alla frontiera arriva la macchina della verità. Per ora in via sperimentale ai varchi (via terra, aria e mare) di Ungheria, Lettonia e Grecia i viaggiatori provenienti dagli Stati extra-Ue dovranno rispondere ad alcune domande a un algoritmo – dotato di fotocamera – fornendo i dati anagrafici e il motivo del viaggio. Il progetto si chiama «iBorderCtrl», parte da un software dei ricercatori della Metropolitan University di Manchester, è finanziato dalla Commissione europea con 4,5 milioni di euro e nasce con lo scopo di velocizzare i controlli nel blocco comunitario dove quest’anno sono attese 700 milioni di persone.
La macchina della verità funziona in due fasi. La prima, subito dopo la prenotazione, fa accedere il passeggero a una piattaforma online per rispondere – attraverso una webcam – alle domande di un agente virtuale che analizza i movimenti facciali. Per mettere a proprio agio il soggetto l’avatar si adegua al suo genere e alla sua etnia.
La seconda fase è all’arrivo nella frontiera Ue. Il viaggiatore classificato nell’intervista online come poco o per nulla rischioso viene sottoposto di nuovo alla macchina della verità e poi accede al Paese. Quello identificato come potenzialmente rischioso viene controllato più in dettaglio: se non convince ancora l’algoritmo modifica il tono della propria voce per poi coinvolgere un agente in carne e ossa per ulteriori approfondimenti.
«Il sistema analizza il comportamento non verbale della persona concentrandosi sui suoi micro-movimenti facciali», spiega a chi gli chiede dettagli Keeley Crockett, docente di Intelligenza computazionale all’ateneo di Manchester. Le espressioni palesi – come il sorriso, appunto – non vengono considerate dal software. Ma i tic – come certi movimenti degli occhi o della bocca, il tono della voce – vengono confrontati con un enorme database che assegna un «punteggio di rischio». Nei casi più sospetti un agente vero interviene e tra le altre cose fa appoggiare il palmo della mano su un dispositivo che esamina il flusso del sangue nelle vene.
«Questo metodo di raccolta e analisi delle informazioni consentirà di andare oltre gli attuali sistemi biometrici», sostiene George Boultadakis di European Dynamics, la società lussemburghese che coordina il progetto.
Diverse associazioni a tutela della privacy dei cittadini non nascondono le loro perplessità. Anche perché, ricorda la Cnn, i precedenti sistemi di riconoscimento facciale hanno evidenziato un alto margine di errore nei confronti delle donne e delle persone di colore. Motivo per cui «iBorderCtrl» viene monitorato dai ricercatori dell’Università di Hannover. «Non credo sia possibile avere un sistema accurato al 100%», sottolinea il professor Crockett. L’obiettivo di questo progetto, per ora, è raggiungere l’85%.