Corriere della Sera, 4 novembre 2018
Franco Zeffirelli ricorda l’alluvione di Firenze di 52 anni fa
L’ha voluto vedere ancora una volta il video dell’alluvione di quel novembre del ‘66. E all’ultima sequenza, quando la ruspa scava via il fango dal Lungarno, Franco Zeffirelli ha incrociato lo sguardo con il figlio Pippo e si è commosso. «Vedo ancora gli occhi della gente disperata che camminava nella melma – racconta il maestro – e le strade, le piazze, le chiese, i monumenti devastati dall’acqua nera e maleodorante. Firenze era una laguna, una Venezia sfigurata. Non c’erano strade e vicoli, ma canali di poltiglia putrida. E io, immerso con le gambe in quel mare, dicevo al cameraman che cosa doveva girare e scattavo foto piangendo».
Sono 170 quelle foto. Straordinarie, bellissime e inedite che da oggi alle 15 saranno mostrate a San Firenze, la sede del Museo Zeffirelli che l’omonima Fondazione presieduta dal figlio Pippo ha aperto con coraggio e maestria. Saranno presentati documenti straordinari. Come il telegramma che Oriana Fallaci, che si era appena catapultata a Firenze da New York, aveva inviato a Franco e le testimonianze del critico d’arte Ludovico Ragghianti, di Vasco Pratolini e di Piero Bargellini. Poi sarà proiettato il video Per Firenze con replica il 17 novembre alle 11. Fece il giro del mondo anche grazie a Richard Burton.
«Già, il grande Richard, quando l’alluvione devastò la città Burton era a Roma – ricorda Zeffirelli – stavamo lavorando al doppiaggio della Bisbetica Domata con Liz Taylor. Quando arrivai a Firenze lo chiamai al telefono. Gli dissi di raggiungermi. Accettò senza esitare e fece quel meraviglioso appello in italiano e in inglese e in due mesi il documentario portò nelle casse della città 30 milioni di dollari». Il figlio Pippo sorride. E spiega: «Fu quel video a convincere tanti giovani da ogni parte del mondo a partire per Firenze come volontari. E fu mio padre che li ribattezzò Angeli del Fango».
Il ricordo del 4 novembre del 1966 inizia da una telefonata all’alba. «Era mia sorella Fanny – ricorda Zeffirelli —, la sua voce tremava dalla paura. Era nella sua casa di via dell’Oriuolo nel centro storico, sola, al buio, dal telefono si sentivano i clacson delle auto imprigionate nel fango. Decisi di partire immediatamente. Telefonai a Ettore Bernabei, allora direttore della Rai, anche lui fiorentino. Gli chiesi una troupe di operatori per filmare il disastro e lui mi mise a disposizione la migliore che aveva».
Il viaggio fu un calvario. Tutte le strade per la città erano bloccate. «Feci un lunghissimo giro passando dal Valdarno poi arrivai sulla collina di Fiesole – continua il regista —. E da lassù guardai la città devastata. L’inondazione aveva sfigurato chiese, musei, palazzi, biblioteche. La nafta delle caldaie era straripata in strada macchiando le antiche pietre, i dipinti, le sculture. Le fogne erano esplose».
Ma il dolore più forte arrivò quando Zeffirelli raggiunse Piazza Santa Croce. «Sapevo che neppure lei e le tombe dei geni erano state risparmiate – racconta il maestro – e avevo paura ad avvicinarmi alla Basilica, la chiesa che amavo di più. L’ultima volta che l’avevo vista era stato un giorno magico: il concerto con Joan Sutherland, che cantò il Messia di Händel. E vederla oltraggiata dal fango, fu un’esperienza terribile».
Alcune settimane dopo Franco Zeffirelli ricevette un telegramma. Era di Oriana Fallaci. «Non riesco a trovarti al telefono. Devo parlarti...». Si incontrarono e lavorarono insieme per salvare la loro città. «Un’amicizia e una collaborazione pro Firenze che è poi proseguita nel tempo – spiega il maestro —. Insieme abbiamo fatto tante battaglie. E quando se ne è andata, nella sua bara ho deposto un Fiorino d’Oro (la massima onorificenza della città ndr) che in vita la sua città non le aveva mai voluto riconoscere».
Prima di tornare a Roma, per concludere la Bisbetica Domata, Zeffirelli esausto e sconvolto vide in un vicolo della città qualcosa che si muoveva tra la melma. «Era un cagnolino. Aveva fame, era terrorizzato, ma mi è venuto incontro e mi ha subito amato. L’ho adottato e me lo sono portato a Roma. Si chiamava Gosto. È stato un cane straordinario».