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 2018  novembre 04 Domenica calendario

Fermare la Tav costerebbe più che terminarla

L’avvento dell’esecutivo gialloverde ha spaccato il Paese sulla realizzazione di nuove infrastrutture, ma sulla Tav in Piemonte lo scontro è tornato acceso. Eppure per Paolo Foietta, commissario straordinario del governo per l’asse ferroviario Torino-Lione, «realizzare la linea è la cosa più sensata da fare». Perché, sostiene, «l’interscambio economico con Francia, Regno Unito e Spagna vale 172 miliardi, più di quello con la Germania». E poi perché fermarla costerebbe più che portarla a termine, anche in termini di tempo. Ci sono soldi da restituire, continua Foietta: «1.050 miliardi messi da Ue e Francia e già spesi per i 30 km di tunnel scavati: se l’altro socio dell’opera, l’Italia, si tira indietro è lecito che gli altri due li richiedano». Poi c’è il 40% dei finanziamenti del periodo 2015-2019 del programma Connecting Europe Facilities pari a 813 milioni di euro, più qualche centinaio di milioni di euro per mettere in sicurezza il tunnel realizzato finora: «Arriviamo vicini a 2,5 miliardi». Se si ferma tutto, continua Foietta, «serviranno allora altri 1,7 miliardi per mettere a norma la vecchia galleria del Frejus del 1871 per un totale di 4,2 miliardi. Salterebbe tutto lo schema, ci vorrebbero decine di anni per mettere a norma il vecchio traforo». Secondo Telt, la società di costruzione, la cifra sarebbe di 4,1 miliardi. Di diverso avviso Marco Ponti, docente di Economia dei trasporti al Politecnico di Milano e coordinatore dello staff per l’analisi costi-benefici del ministro Toninelli. «I traffici sono andati decrescendo anche su autostrada da prima della crisi del 2008: la relazione tra Italia e quella parte di Francia scarsamente industrializzata non genera grande quantità di traffico e le merci per la Spagna passano anche dal mare. Anche supponendo una crescita robusta i costi erano talmente elevati che non giustificavano l’opera della Torino-Lione. Già nel 2008 eravamo lontanissimi dal 3,5% di saggio minimo di rendimento interno sociale che un investimento deve avere. Quindi già allora il rapporto costi-benefici sembrava dai dati molto maggiore di uno». Sempre restando sul piano delle ricadute, «le opere ferroviarie – osserva Ponti —, tra cui anche la Tav, non hanno ritorni finanziari, al contrario per esempio delle autostrade: sono pagate con soldi a carico dei cittadini e non con quelli di chi li usa, per questo motivo alcuni “maligni” chiedono se sono indispensabili, perché per quell’opera pagano tutti». Infine il tasto occupazione: «Quella creata è temporanea – è l’analisi del professore del Politecnico —, potrà salire a 2-3.000 lavoratori nel picco massimo di costruzione dell’opera e poi è destinata a ridiscendere: non si creano veri posti di lavoro».