La Stampa, 4 novembre 2018
Intervista a Nadine Johnson, una delle più conosciute P.R. al mondo
Nadine Johnson è belga, nata in Congo, vive a New York da quasi 30 anni, dove è diventata una delle più conosciute P.R. al mondo. Eppure dice di sé «Ho sempre trovato difficile comunicare con gli esseri umani. Tutto quello che so sul mondo l’ho imparato dai libri. Ma, diceva mio nonno, “La vita ha le sue strade, ti mette nel contesto che tu detesti di più, perché sei qui sulla Terra per imparare qualcosa”. Quindi ora devo parlare con migliaia di persone ogni giorno».
Si considera una figlia dell’Africa?
Sì, una pied-noir. Sono nata nello Zaire, in Congo, e sono tornata in Belgio dall’Africa quando avevo 14 anni. Mio padre era ingegnere e il padre di mia madre aveva delle partecipazioni nella Union Minière du Haut-Katanga. Non sono mai andata a scuola. Avevamo una suora belga che insegnava a scrivere a mio fratello e a me. Era una vita pigra, piena di meraviglia».
Perché è tornata in Europa?
«Stavano per concedere l’indipendenza al Paese e la situazione stava diventando pericolosa. Mia madre mi ha messo in un convento in Belgio. Ho dovuto indossare l’uniforme e le scarpe. Fu traumatico. All’Università ho studiato scienze politiche e diritto; non mi piaceva ma tutti i ragazzi interessanti erano lì!»
Come è finita a New York?
«Dopo gli studi non volevo rimanere in Belgio. Ero nel Sud della Francia, in vacanza, e qualcuno disse: “Dovresti venire a New York ”. Sono andata da mia madre e le ho detto: “Vendo tutto e vado in America”. E lei mi ha risposto: “Non possiedi nulla!” All’epoca New York era un posto speciale, una grande città straordinariamente aperta, come una torre di Babele o un magnifico alveare in cui ci si incontrava. Non ci si annoiava mai, mentre l’Europa era così lenta. Io per guadagnarmi da vivere traducevo discorsi all’Onu dallo swahili e dal francese all’inglese. Andavo alle feste, incontravo un mucchio di artisti e passavo tanto tempo a leggere. E poi mi sono innamorata».
Non aveva mai avuto storie d’amore prima?
«Storie provvisorie, ci sono uomini che è come se avessero la data di scadenza, sai che non durerà. Un giorno un uomo entrò nella mia vita e sapevo che non aveva una data di scadenza. Arrivò a una festa in ritardo, con stivali da cowboy che detesto in un uomo, e io mi voltai verso la persona alla mia destra e dissi “Questo è l’uomo che sposerò”. Non sapevo nemmeno come si chiamasse, ma da quel momento non ci separammo più. Lavorava come giornalista con Rupert Murdoch a The New York Post. Dopo aver visto le pile di riviste nel mio appartamento disse: “Se ti piace tanto leggere dovresti occuparti di PR. Sei pagata per leggere riviste”. Pensai che fosse un bel modo per guadagnarsi da vivere».
Come ha iniziato a lavorare?
«Ho avuto fortuna. Avevo 35 anni e alcuni dei miei amici stavano aprendo hotel o gallerie. I miei primi clienti furono Larry Gagosian e André Balazs. Era un lavoro che adoravo, perché non ho mai avuto qualcuno che mi dicesse cosa fare. Volevo essere indipendente e seguire la mia agenda. Non ho mai avuto un capo in vita mia».
In quali campi ha lavorato?
«Ho lavorato con tutti. Ho fatto una grande presentazione per il film Il Signore degli Anelli perché conoscevo il produttore Ho fatto un sacco di moda, Chanel, Moncler, Stella McCartney ... Abbiamo quattro dipartimenti: arte e cultura, architettura e design, ospitalità, immobili ed eventi. Organizziamo eventi in tutto il mondo: lista degli invitati, rapporti con i media, logistica, intrattenimento».
Come si fa a creare l’evento giusto intorno a un prodotto, un luogo, una persona?
«Innanzitutto occorre capirne la personalità e il Dna del prodotto. Faccio molte ricerche, guardo la concorrenza, i potenziali punti critici. Poi presento un piano che esprime i punti essenziali in poche parole. Quello che so fare davvero bene è creare una strategia mediatica per veicolare il messaggio per il cliente, in tutto il mondo: mi assicuro che sia proposto con la giusta angolazione. Sono brava a mettere insieme piccoli dettagli che altri magari non vedono. Questa intuizione porta valore».
Il suo lavoro è cambiato molto da quando ha iniziato?
«Sì, totalmente. Internet permette di comunicare molto più in fretta, tanto che paradossalmente ho più tempo per pensare. Certo, la capacità di attenzione diminuisce. Un messaggio Instagram è una storia completa raccontata in un secondo. The New Yorker, che adoro, ormai è un museo, una bellissima oasi per chi ama la parola scritta. Ma, con il moltiplicarsi dei media, la classe emerge e il mondo intero si nutre delle storie del New York Times, del Wall Street Journal e del Financial Times. è così che crei valore».
Le celebrità e il gossip sono ancora importanti?
«La celebrità è uno svago, la ciliegina sulla torta. Adoro attori come Daniel Day Lewis e William Dafoe. Le “persone brillanti” hanno una funzione importante perché fanno sognare chi non ha sogni, chi ha bisogno di sogni per sopravvivere».
(traduzione di Carla Reschia)