Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2018  novembre 04 Domenica calendario

Famiglie senz’acqua né luce e 200 km di strade spariti. Le Dolomiti come 100 anni fa

La montagna bellunese è in ginocchio, flagellata dal maltempo che non dà tregua. A Rocca Pietore, ai piedi della Marmolada dove Zaia ha piantato la bandiera di San Marco per dire a Trento che metà di quel ghiacciaio è del Veneto, sono senza luce, telefoni e acqua potabile da una settimana: l’acquedotto di Serrai di Sottoguda è stato divorato dal fango e bisogna rifarlo. Ci vorranno anni. La minerale arriva con l’elicottero dei Vigili del fuoco, ma il sindaco Andrea De Bernardin non si dà pace e ieri ha incontrato Angelo Borrelli, il direttore generale della Protezione civile, per chiedere l’aiuto dell’esercito e generatori elettrici più potenti. Le linee elettriche rifatte da Terna dopo la grande nevicata del 2014 sono crollate e non basta scavare il fango con il badile giorno e notte quando la montagna si sgretola. Il bilancio è pesantissimo: 5 mila famiglie senz’acqua potabile e 12 mila al buio, ma erano 160 mila lunedì scorso. Basta per consolarsi? Duecento chilometri di strada sono da rifare e le frane non danno tregua.
«Peggio della guerra»
L’Apocalisse nelle Dolomiti l’ha portata una tromba d’aria che in una notte ha disboscato 50 mila ettari di foresta dalla Carnia alla Val di Fiemme. Quel disastro è racchiuso nella diga di Auronzo: una distesa di abeti galleggia sull’acqua, pronti a rotolare a valle, come un eterno Vajont, 55 anni dopo la strage di Longarone. Quei tronchi di larice che i «zattieri» del Piave hanno fatto rotolare per secoli fino all’Arsenale di Venezia per sorreggere i palazzi dei Dogi e costruire le «galee» della Serenissima ora galleggiano in balia delle piene dei torrenti. Ci vorrà un secolo, forse anche più, per ridare vita alle foreste di faggi, abeti e larici: la furia del vento a 180 chilometri l’ora ha tagliato le Dolomiti dalla Carnia fino a Dimaro, in Val di Sole. Un crinale di 400 chilometri distrutto da una tromba d’aria che ha sradicato anche le foreste del Cansiglio sopra Vittorio Veneto e dell’Altopiano di Asiago, terre abitate dai cimbri tedeschi che dagli alberi ricavavano il carbone: «Cento anni fa la Grande Guerra non rase al suolo i nostri alberi come ha fatto il vento qualche giorno fa» ammette il sindaco di Asiago Roberto Rigoni Stern. Per ridare speranza a quei sette Comuni vicentini, ieri il sottosegretario Giancarlo Giorgetti ha stanziato un milione di euro, una goccia che non placa la rabbia e il dolore.
Colpo all’ecosistema
«È vero, è peggio di un bombardamento a tappeto» condivide Paola Favero, tenente colonnello dei Forestali, che opera in Cansiglio. «Ci vorranno 4-5 anni per ripulire i boschi dal disastro, si parla di 4 milioni di piante da sostituire, ma la Coldiretti ha addirittura portato le stime a una decina di milioni. È un colpo mortale per l’ecosistema, perchè con l’azzeramento di interi boschi si azzera anche la biodiversità e si cambia perfino il clima locale, si influisce sul regime idrogeologico, si possono favorire dissesti, frane e valanghe. Per arrivare poi al grandissimo danno economico, che non è solo dato dai milioni di metri cubi di legname ora a terra che verranno recuperati con costi elevati e grandi difficoltà, per essere poi utilizzati solo per legna da ardere», spiega la Favero.
Da Alleghe, nel cuore dell’Agordino martoriato, arriva un grido d’allarme: la stagione dello sci è alle porte e per innevare le piste vanno rimossi gli alberi. Sergio Pra, storico albergatore bellunese, ammette sconsolato che «tutta la zona di Alleghe è messa male: il lago è esondato, anche il mio albergo è finito sotto due metri d’ acqua. Sembrava di essere in piazza San Marco a Venezia con l’alluvione. Difficile ripartire, la parte peggiore del paese è quella a fondo valle, dove mancano i parcheggi e abbiamo problemi con le tubazioni per l’innevamento. La pista di rientro che chiudeva l’anello per gli sciatori è distrutta e va ripristinata in fretta». 
Il grande business della neve sulle splendide Dolomiti a dicembre partirà tra le foreste devastate dall’uragano con gli ambientalisti che invocano lo stop.