Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2018  novembre 04 Domenica calendario

Anatomia dei Romanov

La scienza ha risolto il mistero della fine dell’ultimo Zar di Russia e della sua famiglia, ma non ha intaccato il fascino della storia o affievolito l’interesse per la tragedia. 
È passato un secolo da quando Nicola II Romanov, la moglie Aleksandra, le figlie Olga, Maria, Tatiana e Anastasia e l’erede al trono Aleksej sono stati fucilati nello scantinato della casa Ipatiev di Ekaterinburg dove erano tenuti prigionieri dai bolscevichi. 
Lo Science Museum di Londra commemora il centenario con la mostra The Last Tsar, che ricostruisce gli ultimi anni di vita della famiglia imperiale e il loro destino dopo la morte, concentrandosi in particolare sulla missione scientifica per identificare i resti trovati molti decenni dopo. 
La Gran Bretagna ha legami storici e familiari con la famiglia imperiale russa. Lo zar era cugino primo e praticamente sosia del re Giorgio V, mentre la regina Vittoria era la nonna della zarina Aleksandra, figlia della sua secondogenita Alice. Un legame di sangue che si è dimostrato fatale. Fu Vittoria a trasmettere al bisnipote Aleksej l’emofilia di tipo B, una malattia genetica trasmessa dalle donne che colpisce soprattutto uomini. 
La mostra è divisa in due parti: prima e dopo l’eccidio. La prima parte esplora gli ultimi anni di vita dei Romanov e in particolare il loro interesse, intenso fino all’ossessione, per la medicina. C’è una ragione molto umana per questo. La zarina aveva avuto quattro figlie e a ogni nascita la gioia era stata minata dalla delusione per il mancato arrivo dell’erede maschio. Il giubilo e il sollievo alla nascita di Aleksej nel 1904 erano stati immensi, ma di breve durata. 
L’erede al trono era condannato. La zarina aveva riconosciuto i segni della malattia, che aveva ucciso suo fratello, suo zio e suo nipote, e tormentata dai sensi di colpa ha dedicato il resto della sua vita a cercare una cura per salvare il figlio, rivolgendosi tra l’altro al celebre Rasputin. La famiglia imperiale però non poteva dimostrarsi vulnerabile, e quindi la malattia dell’erede al trono diventò un segreto di Stato. 
L’idea della mostra è nata quando una ricercatrice russa, rovistando negli archivi dello Science Museum, ha scoperto una scatola dimenticata che conteneva 22 album di fotografie di Herbert Galloway Stewart, insegnante di inglese della famiglia imperiale che ha vissuto con loro tra il 1908 e il 1918. 
Le foto assolutamente inedite presentano un’immagine dei Romanov molto diversa dalla rigida formalità delle foto ufficiali della Corte. Sono immagini di vita familiare serena e rilassata, che mostrano la tenerezza con cui lo zar prende in braccio il figlio o l’evidente complicità tra sorelle.
Lo Science Museum affronta il tema con un rigore degno del suo nome, ma non trascura l’aspetto umano. «Con questa mostra vogliamo aprire la vostra mente e spezzare il vostro cuore», ha dichiarato il direttore del museo, Ian Blatchford. 
Alcuni oggetti in mostra, mai usciti prima dalla Russia, spezzano il cuore. L’abito premaman di seta e pizzo di Aleksandra indossato nell’ultima gravidanza; la sedia a rotelle in vimini di Aleksej, che camminava con grande difficoltà; la croce di smeraldi della zarina, scheggiata da un proiettile la notte dell’eccidio. 
Le uova di Fabergé illustrano forse più di ogni altra cosa il cambiamento nella vita della coppia imperiale. Per anni lo zar aveva regalato alla zarina un uovo-gioiello, tempestato di diamanti, rubini e smeraldi. Le ultime due uova, entrambe in mostra, non hanno nulla di frivolo o di lussuoso. L’uovo del 1915 è di smalto decorato con una croce rossa e contiene i ritratti di Olga e Tatiana nella loro uniforme di infermiere durante la guerra. L’uovo del 1916, l’ultimo regalato da Nicola ad Aleksandra, è militaresco, in umile acciaio, sostenuto da quattro proiettili, e la sorpresa al suo interno è una miniatura dello zar e del figlio in uniforme assieme ai loro ufficiali.
Dopo la rivoluzione, fu la riluttanza del Governo britannico a concedere esilio politico allo Zar –l’offerta fu revocata nell’aprile 1917 – a segnare il destino di Nicola II e della sua famiglia. 
Il legame britannico è continuato in anni più recenti. L’inchiesta ufficiale sovietica negli anni Venti era giunta alla conclusione che la famiglia imperiale era stata uccisa, ma dato che i corpi non erano stati ritrovati il dubbio sul loro destino era rimasto, un mistero alimentato dalla chiusura degli archivi sovietici. Quando i resti scoperti nelle vicinanze di casa Ipatiev sono stati esumati nel 1991 è stato chiesto al medico legale inglese Peter Gill, massimo esperto di genetica forense, di esaminarli. Non era un compito facile. I bolscevichi avevano fatto di tutto per non lasciare tracce: i corpi erano stati fatti a pezzi e dissolti nell’acido.
«È stata la prima volta che il Dna è stato usato per risolvere un mistero storico», ricorda Gill, che da frammenti di osso ha individuato il profilo genetico analizzando il Dna mitocondriale trasmesso per via materna. Il confronto con il Dna di discendenti diretti, tra i quali il principe consorte Filippo, non ha lasciato dubbi. I resti erano quelli dello zar, della zarina e di tre figlie. Nel 2007 sono stati trovati altri resti e Gill è stato richiamato a esaminarli e confrontarli usando le ultime tecnologie. La sua conclusione è stata chiara: i resti erano quelli di Maria e di Aleksej – con tracce di emofilia B.
Il mito della granduchessa Anastasia miracolosamente sopravvissuta all’eccidio, alimentato da numerose pretendenti, da film e perfino da un cartone animato Disney, è appunto tale. Anastasia è morta assieme ai genitori, alle sorelle e al fratello. Le ultime tecniche di ricostruzione facciale hanno permesso di ricreare i volti dei Romanov, che fanno parte della mostra assieme ai macchinari utilizzati da Gill.
La scienza ha risolto il mistero ma la storia continua a non avere un lieto fine. Nel 1998 i resti di Nicola, Aleksandra, Tatiana, Olga e Anastasia sono stati seppelliti con grande cerimonia nella cattedrale di San Pietro e Paolo a San Pietroburgo. I resti di Aleksej e Maria, invece, non sono stati ancora seppelliti perché la Chiesa ortodossa russa mette in dubbio la loro autenticità e non accetta le conclusioni di Gill. I sette membri della famiglia imperiale, che in vita sono stati così legati fino all’ultimo istante, a un secolo dalla morte sono ancora separati.