il Giornale, 4 novembre 2018
«I miei viaggi nella fisica estrema». Intervista a Kip Thorne
Kip Thorne è famoso soprattutto per due cose: per avere ricevuto il Nobel per la Fisica nel 2017, con i colleghi Rainer Weiss e Barry Barish, per la scoperta delle onde gravitazionali, e per avere collaborato alla realizzazione del film Interstellar di Christopher Nolan (2014). Thorne, nato nello Utah 78 anni fa, ha studiato con John Wheeler, uno dei miti della fisica del secondo Novecento, è stato molto amico di Stephen Hawking e Carl Sagan, ha scritto bestseller (come Buchi neri e salti temporali) e, dopo essere stato Feynman Professor di Fisica teorica al California Institute of Technology, oggi è professore emerito. Risponde al telefono da Pasadena, in California, dove abita, e parla di Viaggiare nello spaziotempo. La scienza di «Interstellar» (Bompiani, pagg. 488, euro 25, prefazione di Christopher Nolan; in libreria dal 7 novembre), il libro che ha scritto per spiegare i misteri e le teorie alla base delle avventure di Interstellar. Un film di fantascienza, che però – dice – si basa «su elementi della scienza reale».
Professore, quindi tutto quello che vediamo nel film è possibile? Anche le cose più straordinarie, come passare in un’altra galassia attraverso un wormhole, viaggiare nel tempo, entrare in un buco nero...?
«Sì, sono possibili. Il problema è un altro: le cose più straordinarie avvengono in aree dove non conosciamo bene le leggi della fisica. Quindi questi avvenimenti sono possibili, ma potrebbero essere proibiti da leggi che al momento non conosciamo».
Fra i protagonisti del film c’è un enorme buco nero, Gargantua. Lei studia da anni i buchi neri.
«Sappiamo che esistono davvero. Ce ne sono centinaia di milioni, anche solo nella nostra galassia. I buchi neri sono stelle collassate: quando una stella di grosse dimensioni implode diventa sempre più piccola e la gravità diventa così forte che nulla può uscire, neanche la luce. Il risultato è un buco nero».
E se qualcuno o qualcosa riuscisse ad attraversarne la superficie?
«Non potrebbe più uscire».
Nel libro scrive: «I buchi neri sono fatti di spazio e tempo curvi. Non c’è nient’altro».
«Non esiste materia nel buco nero: tutta la materia è distrutta al centro, quando nasce».
Un buco nero avrebbe davvero l’aspetto che ha nel film?
«La rappresentazione è assolutamente corretta. È basata su simulazioni al computer, a loro volta basate su equazioni: così abbiamo potuto stabilire con precisione come dovesse apparire, sia visto da fuori, con il cosiddetto disco di accrescimento, sia da dentro. Con i grafici di Double Negative che hanno curato gli effetti visivi, a Londra, abbiamo scritto un manuale di cinquanta pagine su come abbiamo fatto questi calcoli».
Le onde gravitazionali, il progetto a cui ha dedicato gran parte della sua carriera, c’entrano qualcosa?
«Nel film le onde gravitazionali non compaiono. C’erano nella prima versione di Jonathan Nolan; poi suo fratello Christopher le ha rimosse, perché non rivestivano un grosso ruolo».
A che cosa servivano?
«Il wormhole che porta nell’altra galassia viene scoperto grazie a esse. L’annuncio della scoperta delle onde da parte dei progetti Ligo e Virgo è arrivato l’anno successivo all’uscita del film. A quel punto Nolan mi chiamò e mi chiese di raggiungerlo negli studi della Warner Bros, dove stava girando Dunkirk, e per un’ora mi disse quanto rimpiangesse di avere tolto le onde dal film...».
Perché la loro scoperta è così rivoluzionaria?
«Perché ci sono solo due tipi di onde che si propagano nell’universo e ci danno informazioni su quello che avviene lontanissimo da noi: le onde elettromagnetiche e le onde gravitazionali. Finora, tutta la nostra conoscenza dell’universo si è basata sulle onde elettromagnetiche; oggi abbiamo accesso anche a informazioni di altro tipo, molto diverse».
Per esempio?
«Ligo e Virgo hanno rilevato una grossa collisione fra due buchi neri, che non aveva emesso onde elettromagnetiche: le onde gravitazionali ci fanno vedere cose del tutto diverse, le quali, altrimenti, non potrebbero essere viste. Come le collisioni fra stelle di neutroni: combinando tutte le informazioni potremo fare scoperte straordinarie».
Che cosa si aspetta ora?
«Sono fiducioso che riusciremo a vedere le onde gravitazionali primordiali, quelle del Big bang. Serviranno altri strumenti, diversi da quelli di Ligo e Virgo, con frequenze diverse».
Di quali strumenti si tratta?
«Rilevatori che usano la polarizzazione, attraverso le microonde. Nei prossimi dieci anni daranno risultati sufficientemente chiari per gli astronomi. E poi più avanti, intorno al 2050, ci saranno nuove missioni spaziali dell’Esa: dopo Lisa è programmata la missione Big Bang Observer, progettata per osservare le onde gravitazionali primordiali».
Crede che saranno possibili le colonie spaziali e i viaggi interstellari?
«Nel futuro credo di sì. Però viaggiare verso altre stelle richiede così tanto tempo, che serviranno molte generazioni di vite umane per farlo».
Ma è davvero possibile viaggiare nel tempo?
«Nel film, l’uomo non può andare indietro nel tempo. Può farlo solo nella quinta dimensione, quando si trova nel bulk, l’iperspazio al di fuori del nostro universo: è da lì che, alla fine, l’eroe Cooper manda informazioni alla figlia, sfruttando le forze gravitazionali che viaggiano nella quinta dimensione, per andare indietro nel tempo. Quindi sarebbe possibile, se esistesse una quinta dimensione».
Com’era John Wheeler, il suo mentore?
«Mi ha assistito nel mio dottorato, ed è stato un caro amico. Ha ispirato me a pensare ai buchi neri, e una generazione intera di fisici, incluso Stephen Hawking, a pensare alla possibilità che le leggi della fisica possano cambiare. Aveva delle intuizioni strabilianti sulla natura, che sembravano folli, e poi si sono rivelate giuste».
E Hawking?
«Un mio carissimo amico. Dopo Interstellar, sempre con la mia amica, ed ex fidanzata, la produttrice Lynda Obst, e Stephen abbiamo scritto un altro film, completamente diverso, che spero esca fra pochi anni. Lo abbiamo scritto prima che Stephen morisse, e sarà un grosso film di fantascienza».
Il suo sogno?
«Che riusciremo a vedere le onde gravitazionali primordiali, magari prima che io muoia. E che esse comincino a dirci qualcosa sull’inizio del nostro universo: la sua nascita è controllata dalle leggi della gravità quantistica, quindi scopriremmo anche qualcosa sulla gravità quantistica e sulle sue leggi, oltre che sulla nascita dell’universo stesso. Sarebbero informazioni enormi».
Farà un sequel di Interstellar?
«Ah, questo è l’ambito di Nolan, non il mio. Non ne ho notizia, al momento».
Tutte le equazioni sulle lavagne del film le ha scritte lei?
«Sì, ho riempito dodici lavagne. Descrivono nei particolari le riflessioni sulle anomalie gravitazionali e su come possano essere usate per controllare la forza di gravità della Terra. Sono molto dettagliate...»
Quanto ha impiegato a scriverle?
«Più o meno tre ore; ma qualche settimana per progettarle. E poi sul set hanno detto che erano troppo perfette, quindi ho dovuto scriverle un’altra volta».
È vero che si è appassionato alla fisica leggendo libri di fantascienza, come quelli di Asimov?
«Sì, da ragazzino sono stati importanti per me. Poi ho letto i libri di fisica, cosmologia e matematica di George Gamow: One Two Three... Infinity. Avevo 13 anni».
E che cosa l’ha spinta verso la fisica estrema?
«Mi ci ha portato John Wheeler quando, da suo studente negli anni ’60, mi insegnò che quello è il territorio delle grandi scoperte, delle svolte epocali».
Quali sono questi territori oggi?
«Uno è quello della nascita dell’universo: lì speriamo di poter avere una comprensione della gravità quantistica. L’altro sono le collisioni di buchi neri, che iniziano a farci scoprire come si comporta lo spaziotempo».
Che cos’è l’universo?
«La regione di spaziotempo che siamo in grado di osservare. Un buco nero non possiamo osservarlo, perciò, per alcuni, è come se non fosse parte del nostro universo».
Per lei?
«Si può pensare che ci siano altre regioni dell’universo connesse alla nostra e che quindi, in linea di principio, si possa viaggiare dentro di esse. In linea di principio, non in pratica...».