Corriere della Sera, 3 novembre 2018
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Biografia di Alessandro Borghese
«Non saprei dire se sono più un oste, uno chef, un cuoco o cos’altro. Anche perché se ci penso non trovo un termine che possa descrivermi. Posso confessare che mi diverto ancora a cucinare come quando avevo sedici anni, quello sì. Mi diverte alla stessa maniera, nonostante tutti i problemi che ci sono nel diventare cuoco a livello imprenditoriale. Se sto in cucina sono felice».
Ecco, la felicità. La siderale lontananza da quella narrazione assai in voga che identifica la cucina di un ristorante come una specie di presepio vivente ispirato a Full Metal Jacket o a una sua parodia, dove sembra impossibile anche solo respirare senza aggiungere in coda al respiro l’immancabile «sì chef» rivolto al Capo. E anche la distanza, enorme, da tutti coloro che hanno ridotto l’esperienza del «mangiare bene» all’ennesimo capitolo della gimkana quotidiana tra post e storie su Instagram. Anche perché, se la deve dire tutta, e nel libro Alessandro Borghese la dice proprio tutta su tutti e tutto, «oggi non si mangia più ma si fanno solo fotografie di piatti (…) e questo mi fa incazzare, per esempio».
La via culinaria alla felicità, ma anche la via felice alla cucina, sono i tratti più evidenti di Cacio&Pepe. La mia vita in 50 ricette (Solferino), che il cuoco italiano più apprezzato del tubo catodico e della rete ha scritto assieme ad Angela Frenda, bravissima nel trasformare una serie infinita di polaroid più o meno ingiallite in quella che assomiglia tanto alla sceneggiatura di un film. Impossibile derubricarlo a semplice «libro di ricette», anche se di ricette ce ne sono tante; si rischierebbe di riporlo in cucina e di ritrovarsi sporche di farina o unte d’olio le decine di pagine in cui Borghese racconta la sua storia.
Ch’è una storia italiana, molto italiana, nonostante quel destino mezzo hollywoodiano che gli ha regalato una mamma attrice, bellissima e famosissima (Barbara Bouchet) e un papà (Gigi) avventuriero, piazzista, affarista, pokerista e un po’ playboy che pare preso da quei vecchi personaggi dei film con Frank Sinatra. Niente intuizioni, niente genialate, niente garage da cui nascono grandi idee, nulla di nulla di quelle biografie spesso tutte uguali che sembrano tutte ambientate nella Silicon Valley.
Qua è tutto Made in Italy, l’arcitaliano che aveva un po’ la faccia di Ugo Tognazzi e un po’ quella di Walter Chiari elevato all’ennesima potenza anche perché stavolta è l’uno su mille che ce la fa, senza trucco senza inganno. Alessandro che gira l’Italia col padre che vende tappeti come se si fosse tutti dentro una televendita (ma senza tv), mentre la mamma prepara provini su provini. Alessandro in cerca di una passione, Alessandro che non fa sport e non guarda il calcio, e poi Alessandro che impara a cucinare, Alessandro sulle navi da crociera, cucina e felicità, felicità e cucina. Il primo ristorante gestito insieme al suo compagno di viaggio Carletto, le prime soddisfazioni, le prime delusioni, e poi la tv, Milano, un quartier generale di trenta metri quadri in via Solari, e poi Wilma, sposata prestissimo perché un «ci spostiamo?» pronunciato su un volo per Amsterdam durante una turbolenza scambiato per «ci sposiamo» e poi, diamine, come si fa ingranare la retromarcia se le vicine di posto sono già commosse e Wilma ha risposto già che «sì, sposiamoci».
Sopra tutto, dietro tutto, c’è sempre la felicità. «Non si atteggia a grande chef internazionale. Né a divo. Provate a chiedergli: chi sei? Lui vi risponderà orgoglioso: un cuoco», scrive Angela Frenda nella prefazione. Certo, e su questo Borghese in Cacio&Pepe non fa sconti, forse nemmeno a se stesso, ci sono le critiche, le invidie di certi colleghi, le maldicenze, i veleni nei confronti di uno che comunque «è quello della tv». Ma per la tv, come per altre mille cose della vita, vale forse quello che Giulio Andreotti diceva del potere. Logora, e tanto. Soprattutto quelli che non ce l’hanno.