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 2018  novembre 03 Sabato calendario

L’effetto Millennial mette il turbo alla moda islamica

Davanti a una parete traboccante di palloncini e fiori rosa e bianchi, lo scorso 11 maggio l’imprenditrice e star dei social Zehra Özkaymaz (nota su Instagram come Zeruj) ha inaugurato a Istanbul Zeruj Port, il primo mall totalmente dedicato alla moda islamica. La modest fashion, così viene chiamata, declina in chiave glamour l’abbigliamento tradizionale, creato nel rispetto dei principi del Corano: velo, braccia e gambe coperte, nessuna scollatura, silhouette non troppo fascianti. 
Un fenomeno mainstream 
L’apertura del mall Zeruj Port, salutata con entusiasmo, conferma l’ottima salute globale di questo mercato: secondo lo “State of the Global Islamic Economy Report 2018/19”, appena pubblicato da Reuters e DinarStandard, nel 2017 la modest fashion ha avuto un giro d’affari di 238,4 miliardi di euro, cifra che entro il 2023 salirà del 5% a 318,8 miliardi. 
Gli 1,8 miliardi di musulmani nel mondo nel 2017 hanno speso 1,85 trilioni di euro in consumi lifestyle (dunque cibo, viaggi, moda, intrattenimento e cosmetica): la moda è stata la seconda voce di spesa dopo il cibo “halal”, che a sua volta ha avuto un giro d’affari di 1,1 trilioni.
Numeri da fenomeno “mainstream”, come lo definisce il report, non più confinato ai Paesi del Golfo ed espresso solo da collezioni speciali per il Ramadan.
In passerella da Dubai a Londra 
Lo dimostra anche il moltiplicarsi di “modest fashion week”, e non solo nelle nazioni islamiche: a organizzare gli eventi più importanti è l’azienda Think Fashion, a Jakarta, Istanbul, Dubai e Londra. E anche sulle passerelle milanesi o parigine Halima Aden, la prima modella a sfilare indossando sempre il suo hijab, è ormai una presenza consueta. A Torino, dal 27 giugno al 3 luglio scorsi, si è tenuta la seconda edizione della Modest Fashion Week organizzata dall’Islamic Fashion Design Council, basato a Dubai ma che ha una sede anche a Milano.
Le capsule griffate 
Le maison non si sono lasciate sfuggire la chance di interloquire con un pubblico così vasto e, soprattutto, abbiente: da Dolce & Gabbana che già nel 2016 aveva lanciato una collezione di abaya e hijab dalle influenze floreali e dai dettagli preziosi, fino a Max Mara che il 22 ottobre scorso ha scelto il suo nuovo negozio nel Dubai Mall per presentare una capsule che, se non è dichiaratamente “modest”, è dedicata in modo specifico al Medio Oriente. Il fast fashion non è rimasto a guardare: anche H&M, Uniqlo e Mango hanno realizzato collezioni ad hoc. 
Giovani consumatrici e web 
La spinta alla modest fashion, del resto, è arrivata in modo deciso dalle giovani generazioni che, pur nel rispetto dei precetti religiosi, non vogliono riununciare a capi colorati e dettagli cool. Che personalizzino il look e possano aggiudicarsi molti like su Instagram. La Rete, ça va sans dire, gioca un ruolo decisivo nella diffusione del fenomeno. In primis sul piano della comunicazione: su Instagram sono più di 1,3 milioni i post con l’hashtag #modestfashion e spopolano influencer del calibro di Dina Torkia (1,4 milioni di follower), Marwa Hassan (1,3 milioni) e Halima (764mila).
Sulla scia di questa crescente popolarità, crescono anche le piattaforme specializzate in modest fashion: dall’e-tailer turco Modanisa, fondato nel 2011, che oggi ha un’offerta di oltre 70mila prodotti e 500 brand (e registra 16milioni di utenti al mese) a Modist, multibrand online fondato a Dubai dall’algerina Ghizlan Guenez, che a settembre ha annunciato un accordo con Farfetch (che a sua volta ha siglato una partnership con Chalhoub group).