Il Messaggero, 3 novembre 2018
Yemen, è morta di fame la piccola Amal
I bambini che diventano simbolo della guerra, della violenza e della fame che i conflitti si portano dietro. Ed è proprio una piccola di soli sette anni, Amal Hussain, l’immagine che, come un pugno nello stomaco, riporta all’attenzione del mondo la guerra dimenticata in Yemen.
LA FOTOGRAFIALa fotografia di lei scattata dal premio Pulitzer Tyler Hicks ridotta a poco più di uno scheletro, distesa su un letto di ospedale di Aslam, nel nord dello Yemen, con la testa reclinata da un lato e negli occhi un’espressione di rassegnazione, era stata pubblicata la settimana scorsa dal New York Times, facendo commuovere migliaia di persone. Ieri è arrivata la notizia, che Amal è morta, giovedì, dopo essere stata rimandata al suo campo profughi per fare spazio ad altri malati. Alla famiglia era stato consigliato di portarla in un centro di Medici Senza Frontiere, ma non c’erano i soldi per il trasferimento e lasciare Aslam, a soli 90 chilometri dalla capitale Sanaa. «Il mio cuore è spezzato ha detto sua madre, Mariam Ali, che si sta riprendendo dalla dengue contratta probabilmente nel campo profughi Lei sorrideva sempre. Ora sono preoccupata per gli altri miei figli». Morire di fame, nel 2018, in un paese come lo Yemen è una cosa difficile da accettare, soprattutto se si pensa al lusso in cui vive il resto della Penisola arabica. Dal caffè all’incenso, per secoli lo Yemen è stato uno scrigno di tesori, mentre adesso vive come dichiarato dall’Onu la più grande catastrofe umanitaria del mondo, con quasi 20 milioni di persone ridotte letteralmente alla fame, stremate da epidemie come quella di colera che sta facendo migliaia di vittime.
IL PREMIO NOBEL
Nel 2011 alla yemenita Tawakkul Karman viene assegnato il premio Nobel per la Pace, per il suo impegno in difesa dei diritti civili soprattutto delle donne, ma la primavera araba, proprio in Yemen, sta dando i peggiori frutti. Dell’inizio del 2012 è la deposizione dell’eterno presidente Ali Abd Allah Saleh (assassinato nel 2017), ma invece che arrivare la democrazia si apre un vuoto che spalanca le porte alla guerra civile. I ribelli sciiti Houthi, sostenuti dall’Iran, puntano alla presa del potere. Gli Houthi, con altri membri della famiglia che si sono succeduti alla guida della rivolta contro la leadership sunnita, sono sciiti della setta yazida, come la maggior parte della popolazione del nord dello Yemen. Di gennaio 2015 è la conquista della capitale Sanaa, con il governo e il presidente Abd Rabbih Mansur Hadi costretti a riparare ad Aden, arrivando così alla spaccatura del paese, con due capitali, come lo era fino all’unificazione del 1990. Passano due mesi e del marzo 2015 è la svolta: nel tentativo di fermare l’avanzata degli Houthi, l’Arabia Saudita annuncia la formazione di una coalizione militare arabo-sunnita, guidata proprio da Riad, che così seppure indirettamente combatte l’eterno nemico Teheran. L’idea è dell’erede al trono, il giovane e ambizioso principe Mohammed Bin Salman, ma l’iniziativa saudita non porta i risultati sperati e ben presto numerosi analisti politici internazionali arrivano a definirla un disastro’. A farne le conseguenze è la popolazione civile e sono almeno 6.500 i bambini rimasti uccisi o feriti in tre anni di conflitto. E per ora resta inascoltato l’appello, anche di ieri, del segretario generale dell’Onu, António Guterres, a mettere fine alle violenze.