il Giornale, 3 novembre 2018
Morto in carcere Ciccio ’u Castanu, il «boss Matusalemme»
Se a 91 anni stai ancora in carcere è perché sei pericoloso, perché dai ordini con uno sguardo, per dirla con le parole di Nicola Gratteri. Per spiegare perché fa clamore la morte di un boss silenzioso come Francesco Barbaro detto Ciccio ’u Castanu basterebbe spiegare che il boss dell’antico casato di ’ndrangheta è uno dei tanti Totò Riina della mafia calabrese. Storico rivale dei Mammoliti, era stato condannato all’ergastolo come mandante dell’omicidio del brigadiere Antonio Marino, allora comandante della stazione di Platì, ucciso con sei colpi al petto nel 1990 mentre a Bovalino (Reggio Calabria) stava seguendo una processione religiosa insieme alla moglie ed al figlio di due anni, che rimase leggermente ferito. La sua colpa? Essere troppo ficcanaso e aver messo le mani negli affari della cosca Barbaro. Dopo la sua nomina a comandante, Marino aveva compiuto in un mese 27 controlli nei confronti di ’U Castanu. Un’onta da lavare col sangue.
Barbaro non era il capo dei capi ma il capostipite di una genìa di ’ndranghetisti imparentati con il sangue blu delle cosche come i Pelle o i Papalia, divisi (e soprannominati) come castani, nigri, rosa e pillari con un pedigree che parla da solo: Locride, Aspromonte, rapimenti, narcotraffico in tre continenti, da Buccinasco nel Milanese a New York passando da Caracas fino a Melbourne, dove Pat Barbaro e Francesco detto Little Trees facevano il bello e il cattivo tempo dagli anni Settanta.
L’intuizione di trasformare in cocaina i soldi dei sequestri fu decisiva per il futuro della ’ndrangheta. Mentre la mafia ingaggiava una guerra con lo Stato a colpi di mitra e autobombe, le cosche calabresi trattavano sotto traccia con servizi segreti, massoneria e Stato e intanto si sedevano al tavolo coi narcotrafficanti più importanti, diventando monopolisti del traffico di stupefacenti.
Oggi il Pil della ’ndrangheta vale quello del Qatar, i soldi vengono ripuliti con i locali che la ’ndrangheta rileva in silenzio per farne delle lavatrici a cielo aperto. Il più recente è il bar in Corso Europa a Milano, il Vecchia Milano, a cento passi dal comando dei vigili di piazza Beccaria, da piazza San Babila e dal Palazzo di Giustizia. Tutto in mano al figlio Rocco, detto U sparitu, condannato poche settimane fa a 16 anni. Sparire e non sparare (più) è stato il mantra che ha fatto la fortuna della ’ndrangheta. Che ha saputo mescolare la tradizione dei boss aspromontani dei primi del Novecento con le leggi dell’economia liquida del Terzo millennio, nella Milano che non dorme mai.