il Giornale, 3 novembre 2018
Weinstein, processo a rischio. Quel «ti amo» dell’accusatrice
L’appuntamento è per l’8 novembre. Udienza preliminare del processo a Harvey Weinstein. La posta in gioco è altissima, in attesa di capire se si arriverà a processo. Da una parte c’è il produttore dell’era d’oro di Hollywood («Pulp Fiction» e «Shakespeare in Love»), fondatore della Miramax, che rischia da dieci anni di carcere all’ergastolo per le accuse di aggressione sessuale e stupro. Dall’altro c’è il movimento mondiale di rivolta delle donne contro le molestie e le violenze sessuali, il #metoo, che aspetta giustizia sul grande burattinaio di Hollywood diventato il simbolo degli abusi a sfondo sessuale. Eppure, a un anno dall’esplosione dello scandalo, a cinque mesi dall’arresto del produttore (ora libero dietro pagamento di una cauzione di un milione di dollari), e a pochi giorni dall’udienza, il caso Weinstein vacilla, rischia di assestare un duro colpo al #metoo e di chiudersi con una fumata nera. Non solo perché il magnate del cinema continua a professarsi completamente innocente, anche se nelle ultime ore ai suoi danni si è aggiunta anche la denuncia di una donna polacca, che racconta di essere stata aggredita sessualmente dal produttore nel 2002, quando aveva appena 16 anni, diventando così la decima presunta vittima a unirsi a una class action per aggressione, molestie e associazione a delinquere contro di lui, la Weinstein Company e Miramax. L’impianto dell’accusa sembra traballare sotto il peso di mezze verità, documenti emersi dopo l’arresto del produttore il 25 maggio e il rigetto, da parte del giudice James Burke, dell’accusa di una delle tre vittime al centro del caso giudiziario in corso alla Procura generale di Manhattan.
Secondo l’avvocato di Weinstein, Benjamin Brafman (il legale che fece scagionare Michael Jackson dall’accusa di pedofilia e ottenne l’archiviazione dell’accusa di stupro per l’ex direttore del Fmi Dominique Strauss-Kahn) i procuratori al lavoro contro Weinstein non hanno esibito prove favorevoli e decisive al suo assistito. È successo nel caso di Lucia Evans, una delle tre grandi accusatrici che aveva sostenuto di essere stata costretta da Weinstein nel 2004 a un rapporto orale nel suo ufficio di Manhattan, quando sognava di diventare attrice prima della carriera nel marketing. Un’amica della donna – sentita da uno degli investigatori – ha riferito di come la Evans le avesse dato un’altra versione dei fatti. Il rapporto fu consensuale proprio perché lei aspirava a un ruolo in qualche film. Accusa rigettata, posizione della Evans stralciata. Tutto ciò nonostante il procuratore incaricato del caso, Joan Illuzzi, una donna, abbia sostenuto di non aver mai ricevuto dall’investigatore quell’informazione cruciale. Dettaglio che si aggiunge a un’altra circostanza sospetta. Appena due settimane fa, è emerso che lo stesso investigatore, Nicholas DiGaudio, ha invitato una delle altre due accusatrici (di entrambe non si conosce il nome) a cancellare dal proprio cellulare materiale imbarazzante che potesse minare la sua credibilità. La donna alla fine, dopo aver sentito il proprio legale, non ha seguito il consiglio. Il risultato della rivelazione, tuttavia, è un altro colpo alla procura di Manhattan, che con molta probabilità non chiamerà il detective a testimoniare.
Nel frattempo – ed è questo forse il punto su cui l’impianto dell’accusa vacilla di più – l’avvocato di Weinstein è stato in grado di produrre una serie di e-mail, tratte da circa 400 comunicazioni fra il produttore e l’accusatrice che denuncia di essere stata stuprata nel 2013, in cui lei scrive chiaramente: «Ti amo, sempre lo farò. Ma odio sentirmi una da una botta e via». Segue emoticon con sorriso. È l’8 febbraio 2017. Secondo la procuratrice Illuzzi in quelle comunicazioni la donna non nega mai di essere stata stuprata. Ma le e-mail dimostrano che tra la presunta vittima e Weinstein c’è stata una relazione andata avanti a lungo e ben oltre la violenza sessuale denunciata. Circostanza che ne mina l’attendibilità, fondamentale in un processo come questo e che – secondo la difesa – barcolla anche nei confronti dell’altra donna che denuncia di essere stata forzata a un rapporto orale nel 2006.
Infine i sospetti sulla voglia di rivalsa del procuratore distrettuale di Mahnattan Cyrus R. Vance, che nel 2015 era stata pesantemente criticato per non aver formalizzato le accuse contro Weinstein nonostante la denuncia e le registrazioni audio fornite da Battilana Gutierrez, modella italo-filippina. Il procuratore starà forse cercando la rivincita in attesa che venga riaperta l’indagine del governatore dello Stato di New York, Andrew Cuomo, sulle modalità in cui aveva trattato quel caso?