Gazzetta dello Sport, 3 novembre 2018
I corsivi di oggi
Divieti Corriere della Sera Il Comune a trazione leghista di Novara ha varato un occhiuto regolamento di polizia per disciplinare la movida locale. Vietato legare le biciclette ai pali della luce (vanno parcheggiate negli appositi spazi, con gli appositi lucchetti asportabili dagli appositi ladri). Vietato fare caciara all’aperto tranne che nei dehors, dove la chiacchiera è a pagamento. Vietato indossare in pubblico abiti che offendano il comune senso del pudore. O il senso di pudore del Comune? L’assessore ha specificato, a mo’ di esempio, che nel 2018 va considerato lesivo del senso del pudore il comportamento di chi si presenta a teatro in costume da bagno. Però non si ha memoria di novaresi che siano andati a una prima dell’«Amleto» in bikini, se non altro perché d’inverno fa freddo e d’estate ci sono le zanzare, a cui il regolamento comunale incredibilmente non proibisce di riunirsi all’aperto e di molestare i ciclisti che cercano parcheggio. Le nuove norme, corredate da multe ferocissime per gli smutandati trasgressori, finiranno nel cimitero delle gride manzoniane, ma sono il sintomo del cambio di maggioranza generazionale avvenuto nel Paese. Con il sorpasso degli ultrasessantenni sugli under 30, le scelte della politica mirano a compiacere le masse anziane, smaniose di decoro e di silenzio, a discapito dello sparuto manipolo di giovani superstiti. Quando gli anziani si sentiranno talmente ringiovaniti da volere fare cagnara all’aperto in costume da bagno, bisognerà riscrivere il regolamento.
Massimo Gramellini
Pertini
La Stampa
Il 4 novembre del 1918 - domani fanno cento anni esatti - si concluse la Grande guerra con la vittoria dell’Italia. Quello stesso giorno il tenente Sandro Pertini fece ingresso nella Trento liberata al comando del suo plotone. Aveva ventidue anni, era in armi da tre. Era un giovane socialista, venerava Filippo Turati e lo chiamava Maestro, e come lui era stato un neutralista, dedito all’internazionalismo dei proletari, quello che considerava l’unico esercito in cui valesse la pena prestare servizio. Raccontò a Enzo Biagi di una riunione studentesca all’università di Genova nella quale si gridava «viva la guerra» e lui, per non sentirsi «un salame», gridò all’opposto «abbasso la guerra». Ma poi l’Italia ci entrò e a Pertini toccò di arruolarsi. «Ho vissuto la vita orrenda della trincea, fra il fango, fra i pidocchi. Sparavamo agli austriaci che erano giovani soldati, giovani ufficiali come noi». Ingaggiò battaglia sull’Isonzo e sul Pasubio. Si meritò la medaglia d’argento (che non gli venne mai consegnata perché era un socialista sovversivo) per la «superlativa audacia» e lo «sprezzo del pericolo» durante «tre giorni di violentissime azioni offensive» nelle quali «avanzava primo fra tutti». Se la meritò per l’«elevatissimo senso del dovere» che lo aveva ripetutamente spinto a chiedere, accontentato, di combattere in prima linea: sono contrario alla guerra, spiegò, ma se la guerra c’è bisogna offrire la vita al proprio paese. Il dovere del soldato in trincea prevalse sul diritto di seguire le idee pacifiste perché Sandro Pertini non era un nazionalista, ma era un patriota.
Mattia Feltri
Sinistra
la Repubblica
No, il Festival dell’Economia di Trento non è “di sinistra”, come spiegava ieri Mastrobuoni su questo giornale, elencando nome per nome (Krugman, Tremonti, Marchionne…) gli ospiti della manifestazione nel corso degli anni. Ma non esiste alcuna possibilità di spiegarlo al nuovo governatore del Trentino, il leghista Fugatti, perché la saldatura tra i due concetti, “cultura” e “sinistra”, è un caposaldo del pregiudizio politico di destra; con conseguente ossessione paranoide. Così che mentre si sghignazza (con qualche ragione) sulla disfatta politica della sinistra, certificandone la quasi inesistenza, quando poi ci si avvicina a un teatro, a un’accademia, a una sala conferenze, perfino a un modesto vernissage con aperitivo e olive, subito si sospetta l’adunata comunista, si smaschera il sobillatore al soldo di Soros, il letterato incoerente che loda Pasolini ma ha la casa a Capalbio, il gay che diffonde libelli gender in spregio alla Famiglia. Succede poi, regolarmente, che una volta stilata la lista di quelli da evitare, approssimando per eccesso il numero degli epurandi («Pirozzi? È comunista! Se ne stia a casa sua! È finita la pacchia! Basta cena e albergo gratis!»), l’epuratore si renda conto che l’elenco degli ospiti, ridotto al lumicino, non basta nemmeno per la mattinata dell’inaugurazione. Si procede allora a una rilettura più misurata della lista: «Pirozzi? Non è proprio di sinistra. Quasi, solo quasi. Invitiamolo pure. Ma scelga: o cena o albergo».
Michele Serra