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 2018  novembre 03 Sabato calendario

Le staminali hanno 20 anni

Vent’anni fa, in un laboratorio dell’università del Wisconsin, James Thomson guardò dentro a un microscopio e vide il futuro scritto in un gruppo di cellule. Aveva osservato le prime staminali umane derivate da un embrione. In quel vetrino c’era il dibattito sull’origine della vita e la scoperta che, almeno per alcune cellule, l’immortalità esiste. C’era l’osservazione che la freccia del tempo in biologia può essere invertita, dato che le staminali sono cellule “bambine”, dalle potenzialità infinite, nate da cellule adulte, i gameti dei genitori. Da quell’oculare fuoriuscivano enormi promesse per la medicina: la possibilità di ricreare in laboratorio gli oltre 200 tessuti diversi del corpo; di curare malattie degenerative come Parkinson e diabete; di ricostruire interi organi da trapiantare. Quel 6 novembre 1998 – il giorno in cui la scoperta uscì su Science Thomson aveva già visto (quasi) tutto di quel che sarebbe accaduto nei 20 anni successivi. «Non era difficile intuire le potenzialità di quel passo avanti. E Thomson è uno scienziato dotato di capacità di visione», racconta Pier Giuseppe Pelicci, che all’Istituto europeo di oncologia guida l’unità sui meccanismi molecolari del cancro e sull’invecchiamento. Il biologo americano non riuscì a prevedere qualche dettaglio effettivamente difficile da immaginare, come la setta dei raeliani che intorno al 2000 prometteva di clonare esseri umani per estrarne staminali, o le cliniche spuntate negli scantinati per vendere trattamenti non ancora testati. Il caso italiano di Stamina ha centinaia di paralleli nel resto del mondo (alcuni attivi anche oggi). «Le promesse delle staminali erano così ricche prosegue Pelicci – il rischio di creare aspettative eccessive era quasi inevitabile». Vent’anni dopo, le cellule delle meraviglie hanno sgombrato il campo dal problema etico: non c’è più bisogno di distruggere embrioni per ottenerle, dal 2007 è facile farlo in laboratorio partendo da cellule adulte (anche se in terapia ci si fida di più delle embrionali).
Raeliani e finti clonatori si sono eclissati. «Abbiamo fatto passi enormi nella comprensione della biologia delle staminali – prosegue Pelicci – prima conoscevamo un solo tipo di cellule immortali, quelle del cancro, che per ottenere questa prerogativa devono però pagare il prezzo di perdere il senno. Le staminali invece possono replicarsi all’infinito mantenendo intatta la loro capacità di differenziarsi nei vari tessuti del corpo». Quelle stesse prime cellule osservate da Thomson al microscopio continuano ancora oggi a replicarsi nei laboratori di tutto il mondo. Le linee di staminali ottenute nei laboratori di Madison si sono moltiplicate per 20 anni e sono state spedite per posta 5.200 volte a 2.350 scienziati di 45 paesi e 6 continenti. Dal ’98 a oggi (escludendo paesi come la Cina che non pubblicano i conti) il loro studio è stato finanziato con 2,2 miliardi di dollari (37 milioni in Italia) e ha generato 3.900 brevetti. «Però è vero – commenta Pelicci – ci saremmo aspettati più cure per i pazienti». Oggi le sperimentazioni in corso a base di staminali embrionali umane sono una trentina. Non moltissime. «Ma non dimentichiamo che negli ultimi anni abbiamo assistito a una rivoluzione: l’uso delle staminali o delle cellule immunitarie per la cura dei tumori. Forme di cancro senza speranza oggi hanno il 30% di guarigioni». E nei prossimi vent’anni? «Parleremo di tecniche contro l’invecchiamento. Abbiamo molte tessere in mano».