Tuttolibri, 3 novembre 2018
La Germania raccontata in un romanzo da Bernhard Schlink
Dopo Hanna, la ex guardia nazista che non sapeva leggere né scrivere - la cui interpretazione valse tra l’altro a Kate Winslet l’Oscar come miglior attrice nel 2009 - Bernhard Schlink, autore del libro che ispirò il film, ci regala nel suo nuovo romanzo il personaggio di Olga. Che invece scrive tantissimo, lettere struggenti e dolorose all’unico uomo mai amato, partito per un’eroica e improvvida spedizione sull’Artico e mai più tornato. In una vita compresa tra Bismarck e Hitler, Olga - che dà il titolo al libro, pubblicato in Italia da Neri Pozza - prende per mano i lettori conducendoli tra le pieghe della storia tedesca come un guardiacaccia esperto. Sì, perché tra la fine del mandato di Bismarck e l’anno della vittoria di Adolf Hitler non ci sono neanche quarantacinque anni, anni in cui le persone si amavano, combattevano, sfidavano la tecnica, e che Bernhard Schlink ci racconta con attenzione, accendendo la luce su episodi come le avventure colonialiste della Germania in Africa, comprensibilmente oscurate dal successivo precipitare di eventi. Incontriamo Schlink a Berlino, in un caffè davanti a Bebelsplatz, la piazza dove nel 1933 i nazisti bruciarono i libri.
Bernhard Schlink, davvero è Bismarck la madre di tutti gli eccessi tedeschi e del lato oscuro della Germania? Anche lei, come la protagonista del suo libroOlga, ne è convinto?
«No, in realtà non è la mia opinione, ma capisco il percorso mentale di Olga, perché ciò che è successo dopo, in Germania, fu talmente disastroso che poteva venire facile riferirsi a lui come l’inizio di tutto. Penso che anzi, rispetto ad alcune posizioni, ad esempio il fatto che fosse contro le colonie, Bismarck abbia incarnato una Germania molto diversa da quella che venne dopo di lui».
Il suo libro attraversa il regno prussiano, il terzo Reich, il 68. In che misura secondo lei la Germania può dirsi emancipata dal suo passato?
«La Germania ha assunto su di sé il peso del proprio passato, e le grandi ombre del dopoguerra si allungano ancora nel presente. Chi può dirsi emancipato dal proprio passato? Certo, generazione dopo generazione nessuno ha più padri che stavano nelle SS o nonni impiegati nella polizia segreta. Ai miei tempi era impossibile non porsi la domanda: che cosa hanno fatto i miei genitori? E i miei insegnanti? E il pastore che ci ha dato la cresima? Oggi, lo osservo ad esempio tra i miei studenti, quelle domande non sono più un tabù».
A proposito di emancipazione, il suo libro racconta una donna forte e moderna, malgrado la angusta cornice sociale in cui si trova a vivere. Le donne tedesche, secondo lei, hanno una speciale resistenza legata alla storia della Germania?
«Le donne forti giocano un ruolo importante nella letteratura tedesca, da Theodore Fontane a Gottfried Keller, ma non credo ci sia uno specifico tedesco, la stessa cosa avviene nella letteratura americana. Diciamo piuttosto che nelle epoche di transizione e cambiamento, il ruolo della donna nella società si fa più incisivo».
Oggi si parla molto di tramonto del patriarcato, inteso non solo come predominio dell’uomo, ma anche come un’epoca di avventure, esplorazioni e guerre. Lei nel suo libro parla di quell’epoca eroica, e ne descrive il declino. Come immagina il futuro?
«La necessità di “eroicizzare” le persone nasce quando ci sono molte vittime. Quando un Paese entra in guerra, inizia il processo di costruzione dell’eroe. Del resto non si possono mandare le persone a morire senza neanche dar loro la chance di diventare degli eroi. Lo abbiamo visto ultimamente in America, più che in Europa, con le guerre in Iraq e in Afghanistan. Ma oggi a differenza del passato, gli eroi sono sia uomini sia donne».
Secondo lei il movimento globale #metoo inciderà nel cambiamento dei rapporti tra uomini e donne, e tra donne e potere, nella società contemporanea?
«Certamente, credo che una vecchia cultura sia al tramonto, e che il #metoo abbia fatto sentire più ascoltate non solo le star di Hollywood, ma anche le segretarie molestate dai capiufficio o persone con lavori e occupazioni più comuni».
Qual è la maggiore differenza da questo punto di vista tra Europa e America?
«Gli americani trasformano tutto in un movimento: anche in politica, ogni questione sociale diventa un movimento. Da noi le cose vanno un po’ più lentamente, ma non dobbiamo smettere di interrogarci su perché si fa più fatica a mettere una donna nei posti di responsabilità. Le cose stanno un po’ cambiando, ma nelle Università siamo ancora molto indietro. Le cosiddette quote rosa secondo me sono un passaggio necessario».
Se c’è una donna di potere, nel mondo, questa è Angela Merkel, anche se al momento sembra in grande difficoltà. Che giudizio dà della cancelliera?
«Angela Merkel è figlia della Ddr, nel senso che ha la tendenza a non nutrire fiducia. Si fida solo della sua ristrettissima cerchia, ma ad esempio non si fida del partito, né delle istituzioni in quanto tali. Questo è un tipico atteggiamento della Ddr. Sulle sue scelte politiche, ad esempio quelle sui migranti, si possono fare infinite speculazioni. Il problema di Merkel è che a differenza di Helmut Kohl non ha una visione per l’Europa, e del resto la consapevolezza storica che aveva Kohl dell’Europa nella Ddr non si è sviluppata. E in questo lei è proprio un prodotto della cultura DDr...».
Lei è da sempre vicino all’Spd. Quali sono secondo lei le cose che i socialdemocratici tedeschi non hanno capito?
«Ciò che non capiscono ancora oggi, ma non solo in Germania, è che bisogna ripensare la socialdemocrazia. Il proletariato non esiste più, le relazioni economiche sono completamente diverse da quelle che si sono sviluppate nelle vecchie ricette della socialdemocrazia tradizionale. Ma a loro questo non sembra interessare».
Ha paura per il futuro dell’Europa?
«Perché, lei no? I partiti popolari si stanno sgretolando, gli estremismi avanzano e quanto ai giovani, la mia impressione è che si interessino all’ambiente solo a parole. Sono capaci di insultarti se non ricicli le capsule del Nespresso, ma non sono altrettanto coinvolti nella vita associativa, di partito, nell’impegno politico in senso lato. È evidente che questo desta preoccupazioni per il futuro della democrazia europea».
Una volta lei ha detto che non avrebbe distrutto il Palast del Republik (la sede del parlamento della Ddr a Berlino, ndr). La Ddr è da considerarsi un aspetto rimosso dalla coscienza collettiva tedesca?
«Gli abitanti dell’Ovest e dell’Est sono rimasti profondamente diversi. Una caratteristica, forse la più bella della Ddr, era la grande onestà con cui le persone parlavano fra loro delle cose, delle cose importanti. La pratica politica della Germania occidentale ha portato con sé il gusto per gli scandali, per le gag, per l’ironia nei talk-show, un’insincerità di fondo che loro capivano benissimo e che hanno vissuto male: “Parlano così del nostro destino”, devono aver pensato allora. Sono diversi stili politici e francamente non so come possano convivere. Un altro esempio sono i discorsi degli intellettuali: Zeit, Spiegel, Merkur, non ospitano quasi mai voci della Ddr. L’opinione pubblica è tutta giocata dai tedeschi dall’Ovest. Poi, certo, ci sono figure politiche come Gauck o Merkel, ma vengono dal milieu della chiesa, è una cosa diversa».
C’è anche questo secondo lei nell’ascesa dell’estrema destra nei Laender dell’Est?
«Questo è sicuramente uno dei motivi per cui la Ddr vota Afd, e un altro motivo è che l’elaborazione del passato del Terzo Reich nella Ddr non è stato paragonabile a quello che c’è stato all’Ovest. I discorsi sull’identità tedesca assumono nella Ddr una connotazione non così negativa come nell’Ovest. La guerra fredda in Germania è stata una guerra fredda civile, non dimentichiamolo».
SeOlgadiventasse un film, quale attrice le piacerebbe?
«Ancora e sempre, Kate Winslet».