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 2018  novembre 03 Sabato calendario

L’avvocato Conte, i due soci e le mille postille

Non bastano Di Maio e Salvini che lo scavalcano, Giorgetti e Fraccaro che lo tormentano, le norme per il condono fiscale da riscrivere e quelle per il condono edilizio da gestire: se ci si mettono anche i militari, allora si capisce che per l’«avvocato del popolo» guidare il governo è come difendere una causa persa. 
Il mestiere del premier è duro per definizione. In più Conte sconta l’inesperienza e la difficoltà di rappresentare una coalizione che sta insieme solo per «contratto». Così non passa giorno senza dover dirimere una controversia che si insinua nelle postille dell’accordo tra le parti. Mercoledì scorso poi, al Quirinale, ha dovuto anche affrontare un fuori programma che non aveva calcolato: è stato quando, al Consiglio supremo di difesa, il capo di Stato Maggiore ha preso ad elencare una serie di armamenti necessari ad ammodernare il sistema militare. E più si allungava la lista di nuovi mezzi anfibi e di velivoli, più Conte – davanti a Mattarella – osservava preoccupato lo sguardo compiaciuto del titolare alla Difesa, quello sbigottito del vice premier grillino e quello divertito del vice premier leghista. Finché in suo soccorso è intervenuto Tria, a rammentare la penuria di soldi.
È stato un sollievo per il capo dell’esecutivo, se non fosse che il ministro dell’Economia – per aiutarlo – ha finito per ricordargli il dossier più spinoso: la manovra. Mediare ai tempi del «governo del cambiamento» è complicato. Conte conta di farlo con Juncker, seguendo i consigli del capo dello Stato che confida in un «segnale» capace di far partire la trattativa a Bruxelles. Il problema è che il premier non ha la forza politica per imporsi sui due azionisti di maggioranza nel governo: un handicap noto ai partner europei e che lo penalizza nella vertenza. Avesse potuto, non avrebbe scelto quei «numerini» che Di Maio e Salvini hanno preteso, e che hanno acceso la disputa con la Commissione. La reazione però è stata eccessiva, secondo una valutazione che unisce personalità istituzionali e membri dell’esecutivo esperti delle cose di Bruxelles.
Se davvero l’Unione a fine mese dovesse aprire una procedura d’infrazione sul debito e non sul deficit dell’Italia – questa è la tesi – entrerebbe in contraddizione con se stessa, perché metterebbe nel mirino la gestione dei governi precedenti che pure avevano seguito i precetti comunitari: di fatto sarebbe come se l’Europa mettesse all’indice l’Europa. Tutto ciò porta a sostenere che l’approccio di Bruxelles avrebbe un forte accento politico, e – in analogia con l’atteggiamento tenuto verso Londra sulla Brexit – un carattere punitivo. Ma siccome il peccato originale sta nella manovra, tocca all’Italia il primo gesto distensivo.
Ed ecco il punto. Salvini – nelle sue conversazioni sui fronti politici e istituzionali – fa mostra di comprendere appieno lo scenario, i rischi di un’esposizione al vento dei mercati, il pericolo di una ricaduta sull’economia del Paese: il mito dell’asse sovranista in Europa sarà un tema da campagna elettorale, che inizierà l’otto dicembre con la manifestazione a Roma, ma che nei fatti non coincide con l’atteggiamento ostile dei suoi presunti alleati a Bruxelles. Ecco perché il leader del Carroccio ha elogiato Draghi, che è inviso agli altri sovranisti dell’Unione.
Alla mediazione di Conte servirebbe il sostegno anche di Di Maio, che però deve gestire le tensioni nel Movimento e perciò è limitato a manovrare. Il capo di M5S non può cedere sul reddito di cittadinanza più di quanto non abbia già fatto, a meno di non compromettere la propria leadership. Semmai le difficoltà lo hanno costretto ad irrigidirsi e non c’è punto del «contratto» su cui ormai i cinquestelle non entrino in conflitto con i leghisti. Ecco perché il tentativo di Giorgetti di aprire una discussione sul provvedimento bandiera dei grillini ha scatenato la loro reazione. Il sottosegretario alla presidenza si rende conto che di qui alle Europee questa linea di politica economica può compromettere il monte di consensi che oggi i sondaggi attribuiscono a Salvini.
Insomma, non era un favore a Conte ma al suo partito, dove sono in molti a non digerire il protagonismo del premier. È bastato che ieri rivendicasse il suo ruolo di mediatore per far scattare i leghisti di governo: «Con Bruxelles interloquisco io. Se poi ci sono dei leader che organizzano manifestazioni, fa parte della dialettica politica». Replica dei salviniani: «Conte è una partita Iva. Di alto livello, ma sempre una partita Iva. E una volta che termina il contratto andrà a casa». Sarà lunga arrivare fino a giugno.