il Giornale, 1 novembre 2018
Dormire al freddo aiuta a star bene
Buone notizie per gli uomini: è arrivato il momento che le rispettive mogli e compagne dicano addio a pigiamone invernale, sciallettino e calzettoni di lana per andare a letto. A dirlo è la scienza che, con tanto di ricerche comprovate, dimostra quanto sia importante dormire al freddo. Non certo con le finestre spalancate, ma con un po’ di criterio nel regolare il termometro e nell’uso di piumoni e coperte.
TUTTA SALUTE
La temperatura in camera non dovrebbe superare i 19 gradi e, a dirla tutta, l’ideale sarebbe sui 16 gradi. Se supera i 23 gradi potrebbe perfino causare problemi. Il motivo? La nostra temperatura corporea scende e sale naturalmente durante l’arco della giornata. I gradi più elevati si raggiungono nel tardo pomeriggio e quelli più bassi intorno alle 5 del mattino. Il sonno inizia normalmente quando la nostra temperatura corporea si abbassa. Dormire al freddo, dunque, aiuta ad addormentarsi più velocemente. E – aspetto non indifferente – aiuta a restare giovani e magri.
Una ricerca effettuata presso l’Università del Sud Australia ha rilevato che alcune forme di insonnia si verificano per una scarsa regolazione della temperatura corporea. Una stanza più fresca aiuta il corpo a raffreddarsi abbastanza per raggiungere un livello di sonno più profondo e ristoratore. Dormire in una stanza più calda di 21 gradi impedirà al cervello di rilasciare la melatonina, cioè uno dei migliori ormoni anti-invecchiamento del corpo. Una volta che siamo addormentati in totale oscurità e la nostra temperatura corporea si abbassa, rilascia la melatonina e provoca un lieve raffreddamento nel corpo. Dormire in una stanza a 18-19 gradi può anche aiutare a prevenire alcune malattie metaboliche, in primis il diabete. Insomma, bisognerebbe cominciare a correggere le nostre abitudini. Noi che siamo sempre stati abituati a bere tisane calde prima di addormentarci e a imbacuccare i nostri figli con effetti sauna nella camerette.
In generale, si fa presto a dire: «Ho passato la notte in bianco». In realtà esistono più di sessanta sfumature di insonnia e per risolverle non basta certo la tisana della buonanotte. Stress mentale, traumi, stanchezza fisica, stile di vita disordinato, montagne russe ormonali. I motivi degli occhi sbarrati nel cuore della notte sono tantissimi, soprattutto fra le donne. Un italiano su due, in particolar modo nella fascia tra i 48 e i 65 anni, dorme male e meno delle 8 ore canoniche.
Nella maggior parte dei casi si tratta di problemi che si cerca di risolvere con il buon senso. In altri casi non si sa bene a che specialista chiedere consiglio. In realtà il sonno malato può riguardare vari campi della medicina: la neurologia, la pneumologia, la psicologia, la ginecologia.
IN APNEA NEL LETTO
Tra i disturbi più diagnosticati c’è la sindrome da apnea ostruttiva. Di fatto, la respirazione durante il sonno viene interrotta a più riprese a causa dell’ostruzione parziale o totale delle prime vie aeree. Questo provoca una riduzione della concentrazione di ossigeno nel sangue. E quindi rischi di ipertensione arteriosa e malattie vascolari. La sindrome è più frequente negli uomini ma anche le donne ne possono soffrire, soprattutto nel periodo della menopausa, cioè quando si riducono la secrezione di melatonina e di progesterone.
Una delle ricerche più recenti, condotta dai ricercatori giapponesi dell’università di Tsukuba e pubblicata su Proceedings of the National Academy of Sciences ha scovato la responsabile delle notti in bianco e delle giornate a trascinarsi tra sbadigli e debolezza. La colpevole è una proteina che, una volta modificata, interferisce con la normale fisiologia del sonno. Si chiama proteina Sik3 e, in base ai dati emersi dalla sperimentazione sui topi, influenza le fasi di sonno non-Rem, mentre il sonno Rem (quello durante cui sogniamo) rimane in gran parte uguale. Questa scoperta potrebbe aprire nuovi orizzonti nella formulazione di rimedi contro l’insonnia incontrollabile e patologica, quella che costringe a giorni di assenza dal lavoro, indebolisce irrimediabilmente il fisico, compromette le capacità cognitive e mnemoniche, mette a dura prova la psiche, favorendo l’insorgenza di patologie.