la Repubblica, 1 novembre 2018
Alitalia, i privati hanno perso 1,7 miliardi
Tutti la vogliono, almeno a sentire il vice-premier Luigi Di Maio. Nessuno o quasi però (almeno alle condizioni attuali) se la vuole pigliare. L’ennesima asta per salvare Alitalia si chiude con il risultato di sempre. Qualche timida offerta costellata di se e di ma, molti potenziali candidati tirati per la giacchetta (alcuni dei quali pubblici) che si tirano da parte per il timore di scottarsi le dita. E qualche “potere forte” come il presidente dell’Acri Giovanni Guzzetti che mette il veto sull’ingresso della Cdp nell’ex-compagnia di bandiera.
Il motivo di tanta prudenza è chiaro. E a spiegarlo è un numero semplice: 1,7 miliardi di euro. I soldi bruciati dai privati che negli ultimi nove anni hanno cercato di riportare in rotta senza alcun successo – i conti della grande malata dei cieli italiani. Un elenco a 360 gradi che comprende le banche, i bei nomi dell’imprenditoria tricolore, un’azienda pubblica e un paio delle più blasonate aerolinee mondiali, a conferma che la maledizione di Alitalia non guarda in faccia proprio nessuno.
La cordata dei capitani coraggiosi messa in pista da Silvio Berlusconi («sarà un ottimo investimento», disse allora l’ex-Cav) per salvare la società è stata la prima a pagar dazio. L’Immsi di Roberto Colaninno ha perso circa 120 milioni, i Benetton 230, un obolo di 50 milioni l’ha versato la Pirelli allora di Marco Tronchetti Provera e qualche decina di milioni persino le aziende di famiglia Ligresti. In questo primo tentativo si è scottata le dita pure Air France, costretta a contabilizzare in perdita tutto il proprio investimento bruciando 323 milioni.
Nel 2013 la cordata italiana, constatato il flop, ha alzato bandiera bianca e chiuso i cordoni della Borsa e il cerino è passato in mano ad Etihad con la partecipazione straordinaria della Poste italiane. Ma la musica non è cambiata. Alitalia ha continuato a volare in profondo rosso e i soci hanno finito per pagare un prezzo salato: la compagnia emiratina ha perso poco meno di 400 milioni, le Poste 75. Le banche, Unicredit e IntesaSanPaolo in primis, hanno dovuto convertire in capitale 600 milioni di crediti. Quattrini svaniti nel nulla visto che le perdite del vettore se le sono mangiate tutte.
Non è difficile capire, visti questi dati, perchè i potenziali salvatori di Alitalia si contino sulla punta delle dita e o rispondano a logiche politiche (le Fs) o chiedono la garanzia di pesanti ristrutturazioni prima di mettere un centesimo sul piatto. I Commissari in effetti hanno fatto un buon lavoro e – per quanto in loro potere – sono risuciti a limare un po’ le perdite. Ma per rilanciare il vettore servono un cambio radicale di flotta costosissimo (almeno un paio di miliardi) e tempi non strettissimi. Il governo non a caso ha già provveduto ad approvare una legge (a carico della fiscalità generale e delle tasse sui biglietti) per consentire la pensione anticipata a eventuali dipendenti in esubero in modo da ridurre il cip di ingresso per i privati che volessero riprovare l’avventura in Alitalia. E un po’ del personale in eccesso potrebbe finire in carico proprio alle Fs, sgravando ulteriormente il conto per le new entry nel capitale. L’esecutivo ha provato a convincere Eni, Poste e Leonardo a entrare in pista. Ma i vertici dei gruppi, società quotate, hanno detto (per ora) no.