Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2018  novembre 01 Giovedì calendario

Assolta Asia Bibi. Ma la piazza è in rivolta

Con una sentenza che passerà alla storia della giurisprudenza in materia religiosa, la Corte Suprema del Pakistan ha assolto la prigioniera cattolica Asia Bibi, una contadina stagionale condannata a morte con l’accusa di avere pronunciato frasi blasfeme contro il Profeta. Entro pochi giorni la ormai celebre 47enne, il cui vero nome è Aasiya Noreen, uscirà viva e libera dal carcere dove si trova da nove anni, otto da quando il primo giudice l’aveva giudicata colpevole con verdetto confermato in appello.
«Una pietra miliare per la libertà di religione», come la sentenza è stata definita da numerosi gruppi per i diritti umani, sulla quale grava però fin da ora l’ombra di una pericolosa rivolta dei fondamentalisti religiosi. Dopo la lettura del verdetto, migliaia di manifestanti armati di bastoni hanno bloccato arterie vitali, bruciato copertoni e bersagliato di pietre la polizia nelle strade delle città, da Islamabad a Lahore e Karachi, e minacciano di continuare nonostante i divieti e le severe misure di sicurezza prese da tempo in caso di assoluzione.
La notifica delle 56 pagine di motivazione è stata posticipata di tre settimane proprio per le ripetute minacce degli estremisti di paralizzare il Paese e uccidere i giudici. Il lungo e argomentato testo della sentenza risente anche della necessità degli estensori di attenersi il più possibile alle scritture coraniche per giustificare la decisione di salvare dal patibolo una donna cristiana.
Il primo firmatario del teso, Asif Saeed Khan Khosa, cita un episodio del 628 d.c. quando il Profeta accolse ai piedi del Sinai in Egitto una delegazione di esuli dall’antico monastero di Santa Caterina, dicendo «che tutti i cristiani erano suoi alleati ed equiparava i maltrattamenti ai cristiani a una violazione dell’alleanza di Dio».
Dall’analisi dei fatti pieni di «lacune e contraddizioni» i magistrati hanno tratto la conclusione che le frasi contro il Profeta attribuite dalle due testimoni chiave quasi omonime, le sorelle Mafia e Asma Bibi, non sono mai state pronunciate e che quel che avvenne nel giugno 2009 nel campo delle bacche chiamate “falsa”, a ridosso del villaggio di Sheikhupura, è così confuso da impedire – come prescrive l’Islam un giudizio di colpevolezza “al di là di ogni ragionevole dubbio”.
Secondo la dettagliata ricostruzione dei giudici, Asia cominciò effettivamente un battibecco con un gruppo di musulmane che rifiutarono di accettare l’acqua dalla sua brocca perché, in quanto cristiana, risultava “inquinata”. Molti elementi hanno convinto i giudici che le frasi attribuite all’imputata sono state inventate. Nel campo – spiegano – c’erano almeno altre 30 donne musulmane e nessuna ha sporto denuncia, mentre una terza testimone si è poi rifiutata di confermare i fatti esposti dalle due sorelle accusatrici.
Non solo. Le frasi incriminate sono state riferite all’imam locale Muhammad Salaam che ha impiegato cinque giorni per sporgere querela, e l’arresto – dopo un processo sommario che rischiava di finire con un linciaggio – è stato eseguito senza prove da un ufficiale non autorizzato. «Sembra che dopol’alterco – ironizzano i magistrati abbia avuto luogo nel campo di “falsa” una festa della menzogna», e che «i membri musulmani del partito denuciante, guidati dal firmatario (l’Imam) Qari Muhammad Salaam, abbiano prestato poca attenzione ai comandamenti di Allah Onnipotente nel Sacro Corano».
Al libro sacro si fa riferimento nella sentenza in risposta alla prevedibile reazione dei fondamentalisti: «A meno che non sia provata la colpevolezza, attraverso un processo equo, come previsto dalla Costituzione e dalla legge, ogni persona è considerata innocente, indipendentemente dal loro credo, casta e colore». La prova è in questo versetto: “...Colui che uccide un’anima a meno che non sia (in punizione) per omicidio o misfatti sulla terra, sarà come se avesse ucciso tutta l’umanità; e colui che salva una vita sarà come se avesse dato la vita a tutta l’umanità...”.
La Suprema Corte che ha salvato la vita di Asia Bibi ha voluto anche riaffermare i principi secolari su cui si basa la giustizia terrena, contro la “giustizia della folla” invocata dagli ultrareligiosi. «Una sentenza – viene scritto – è un dovere dello Stato e nessun altro ha l’autorità di prendere in mano la legge e punire chiunque da solo. Il reato di blasfemia è aberrante e immorale, oltre a essere una manifestazione di intolleranza, ma allo stesso tempo una falsa accusa riguardante la commissione di tale reato è altrettanto detestabile oltre che essere colpevole».Gioiscono i familiari di Asia Bibi, il marito e le due figlie che vivono in Inghilterra, e nelle settimane scorse sono stati ricevuti da papa Francesco che ha definito Asia «una martire». «Finalmente le nostre preghiere sono state ascoltate! Non vedo l’ora di riabbracciare mia madre»”, ha detto con la voce rotta dal pianto la figlia minore Eisham. «È stato difficilissimo in questi anni stare lontano da lei – ha aggiunto il marito Masih – e saperla in quelle terribili condizioni (una cella 2 metri per 3, ndr). Ora finalmente la nostra famiglia si riunirà, anche se purtroppo dubito che potremo rimanere in Pakistan». Due Paesi, tra i quali il Canada, si sono già offerti di dare loro asilo, ma anche se la protagonista di questa storia riuscirà a nascondersi e salvarsi, i tre giudici che le hanno ridato la vita restano in Pakistan a sfidare le ire dei fanatici. Gli stessi che hanno ucciso già il governatore musulmano del Punjab Salmaan Taseer e il ministro cristiano delle minoranze Shahabaz Bhatti per avere difeso Asia Bibi come simbolo delle ingiustizie in nome della legge anti-blasfemia. Proprio come hanno fatto gli autori della coraggiosa sentenza.