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 2018  novembre 01 Giovedì calendario

L’arte lenta di Brian Eno

Alla ricerca della lentezza, in un mondo iper-veloce: Brian Eno si spinge verso nuovi confini artistici fra installazioni da guardare «con calma» ed esperimenti sonori che portano la sua musica generativa a orizzonti «orchestrali». Musicista, compositore, produttore, visual artist, è il padre della musica ambient, ha lavorato con David Bowie, U2, Coldplay, inventato la ambient music, composto album, app e jingle (il suono di avvio di Windows 95). Lo ritroviamo a Venezia con «Ambient Paintings», mostra allestita fino al 24 novembre alla Galleria Michela Rizzo in cui il suono incontra la luce e il colore. E in cui le opere, contrariamente alla frenesia odierna, vanno guardate prendendosi del tempo. «Credo che le persone oggi siano pronte all’arte “lenta” – spiega l’artista britannico, 70 anni —. Mi sembra che molti vogliano starsene soli con i propri pensieri, anziché essere bombardati da quelli di qualcun altro». Così con i suoi Lightboxes, installazioni led che mutano combinazioni cromatiche accompagnate da una composizione musicale, Brian Eno mette in atto un’operazione che ritiene anti-hollywoodiana: «Hollywood tiene in pugno l’attenzione. Io mi sento all’opposto, voglio fare qualcosa che la lasci vagare». 
A far riflettere Eno è anche il ruolo dei social network, di cui specifica di non possedere alcun account: «Funzionano dandoti di più di ciò che ti piace. Un loop malsano i cui effetti si evidenziano in divisioni sempre più dure: quando sei in contatto solo con le persone con cui sei d’accordo, perdi ogni empatia verso chi ha altre idee. Gli algoritmi che dominano le nostre vite non sono stati disegnati per migliorarle, ma per tenerci agganciati. Catturano la nostra attenzione e quello che ci conquista sono soprattutto sfoghi emozionali, pregiudizi rinforzati e gatti». 
Come produttore, rivela, sogna di lavorare «con qualcuno di cui nessuno ha mai sentito parlare». Mentre la sua ricerca di compositore si sta ulteriormente addentrando in ambito generativo, la musica creata dalle macchine: «Ho intrapreso una specie di svolta “orchestrale”, molto adatta ai metodi generativi – racconta —. Sto anche scoprendo un nuovo genere che potrebbe essere chiamato “hyper-ambient”. È ai limiti della musica così come la conosciamo». Mondi sonori e avanguardie che escono da un computer, portando a chiedersi che parte avranno l’interiorità e l’emotività dell’artista in futuro: «Naturalmente i sentimenti avranno sempre un ruolo. Abbiamo costruito noi i computer, fanno le cose che volevamo facessero. È di noi umani che dovremmo avere paura. Sono molto più preoccupato per la nostra schiavitù verso le auto, gli aerei, gli hamburger, i sacchetti di plastica e gli antibiotici che verso i computer». 
Così, nella visione di Brian Eno, tutti quanti dovrebbero avere competenze scientifiche: gli artisti e più ancora i politici. «La scienza, la legge e l’arte sono grandiose costruzioni umane che hanno richiesto milioni di menti e migliaia di anni. Quanto stupido devi essere per ignorarlo? Eppure è quello che stanno facendo alcuni dei nostri leader oggi». L’esempio più lampante è il cambiamento climatico: «C’è un enorme consenso sul fatto che stiamo andando incontro a una catastrofe cosmica e tuttavia alcuni nostri leader fingono che non sia così. Spero che vengano processati e ricordati come criminali». 
La buona notizia, è che c’è una «rivoluzione intellettuale» in atto: «I media come li conoscevamo stanno morendo ma ho la sensazione che le persone stiano cercando più sostanza. Quel che mi ha stupito negli ultimi due anni è l’esplosione incredibile di media indipendenti online. Dopo Trump e Brexit – conclude il musicista – dobbiamo iniziare a parlarci di nuovo, non parlare ad avatar senza volto sui social media. Dobbiamo capire ciò in cui crediamo e provare a costruire un po’ di ponti, invece che altri muri».