Corriere della Sera, 1 novembre 2018
Sono ossa di donna quelle ritrovate alla Nunziatura. Quel pavimento posato negli anni ’80
Appartiene a una donna lo scheletro ritrovato sotto il pavimento nel seminterrato della Nunziatura apostolica a Roma. È questa la convinzione del medico legale che ha svolto un primo esame su quelle ossa messe poi a disposizione della polizia scientifica. Adesso si va avanti per ottenere la datazione e soprattutto il Dna da confrontare con quello di Emanuela Orlandi, ma anche di Mirella Gregori. Accanto allo scheletro ci sono infatti altri resti e ciò fa pensare che in realtà le persone sepolte sotto Villa Giorgina – dove si trova la sede diplomatica della Santa Sede in Italia – possano essere due. Secondo i primi accertamenti il pavimento è stato rifatto più volte, anche negli anni ’80 ci sono stati lavori di ristrutturazione, e dunque potrebbe essere possibile che il corpo delle ragazze sia stato sepolto lì sotto. Ma per comprendere che cosa sia davvero accaduto bisognerà attendere l’esito di tutti gli accertamenti e soprattutto le verifiche affidate dal procuratore aggiunto Francesco Caporale alla squadra mobile di Roma. E dunque per comprendere il mistero bisogna ripercorrere anche che cosa è successo nell’ultima settimana.
La consegna dei restiL’ispettorato di pubblica sicurezza del Vaticano guidato da Luigi Carnevale viene allertato lunedì mattina. La gendarmeria chiede «collaborazione» perché alcuni operai chiamati a isolare il pavimento dello scantinato della guardiania della Nunziatura hanno trovato uno scheletro e alcune ossa. Sono intervenuti con il martello pneumatico e subito hanno notato i resti di un cadavere. Un primo esame dei reperti è stato affidato dalle stesse autorità ecclesiastiche al professor Giovanni Arcudi e poi si è deciso di chiedere l’intervento della polizia italiana. Quando la Scientifica arriva effettua la catalogazione di tutte le ossa, compreso il cranio con l’arcata dentale. Ufficialmente viene escluso che ci fossero altri oggetti (indumenti o monili), però quando la notizia diventa pubblica il ritrovamento dei resti viene subito collegato alla sparizione di Emanuela Orlandi, come se potesse esserci un indizio che riporta alla sua vicenda. Le ossa vengono dunque trasferite nei laboratori e intanto gli investigatori guidati da Luigi Silipo avviano le verifiche sui lavori compiuti in quella villa costruita in via Po nel 1920, donata al Vaticano nel 1949 e dieci anni dopo, dunque nel 1959, diventata sede della Nunziatura.
Le ristrutturazioniDa allora nel palazzo sono stati effettuati diversi lavori. Il pavimento è stato cambiato anche negli anni ’80 e dovranno essere rintracciate le ditte che hanno compiuto le varie ristrutturazioni anche per stabilire le modalità di intervento e dunque accertare chi possa aver sepolto uno o due corpi in quel luogo. Le ossa si trovavano infatti appena sotto il pavimento e questo porta a escludere – almeno fino a che le analisi di laboratorio non dovessero smentire questa eventualità – che si tratti di resti molto datati. «Se così fosse – sottolineano gli investigatori – sarebbero state infatti ritrovate già in passato, visto che altri operai erano intervenuti con le stesse modalità, vale a dire un martello pneumatico per sostituire il pavimento».
L’omicidio volontarioAnche se non si trattasse di Emanuela Orlandi o di Mirella Gregori bisognerà stabilire a chi appartengono i resti e soprattutto quale sia la causa della morte. La Procura procede per omicidio e gli specialisti della Scientifica sono fiduciosi rispetto alla possibilità di poter ottenere un risultato attendibile attraverso l’esame dei reperti. Per quanto riguarda le comparazioni, non c’è a disposizione il Dna delle due ragazze, ma la verifica può essere effettuata grazie al codice genetico della mamma e dei fratelli delle due giovani. Un test che si svolgerà nei prossimi giorni, quando saranno state effettuate le analisi preliminari e soprattutto sarà stato estratto il Dna dal midollo delle ossa.
L’istanza ai pmIeri mattina Pietro Orlandi e la sua avvocatessa Laura Sgrò sono stati in Procura per chiedere di essere informati subito dell’esito degli esami. La legge impedisce che possano partecipare con un loro perito alle verifiche, almeno fino a che non dovesse esserci almeno un elemento che avvalori l’ipotesi che i resti sono di Emanuela. «Ma la famiglia – chiarisce Sgrò – attende da 35 anni di conoscere la verità e dunque anche un minimo appiglio diventa fondamentale. Per questo vogliamo sapere come mai, appena ritrovate le ossa, sia stato fatto subito il collegamento con la vicenda. Come mai in Vaticano abbiano subito pensato che potesse essere proprio lei».