Corriere della Sera, 1 novembre 2018
Deficit, in arrivo la procedura europea. Verdetto il 21 novembre
A meno di cambi di rotta sostanziali, il 21 novembre l’Italia tornerà dove non si trovava da cinque anni: nella gabbia di regole, pressioni e sorveglianza di una procedura europea per deficit eccessivo. Poche volte in tempi recenti si era registrato un consenso tanto ampio nella Commissione Ue per una scelta così rilevante, secondo varie voci convergenti dall’interno dell’istituzione. Ma tutti i giri di tavola fra il presidente Jean-Claude Juncker, i vicepresidenti e il resto di commissari – con la parziale eccezione del francese Pierre Moscovici – sono arrivati alla stessa conclusione: accelerare l’applicazione del cosiddetto «braccio correttivo» del Patto di stabilità.
Il calendario è già organizzato per tappe su tutto novembre. All’inizio della prossima settimana si riuniscono nell’Eurogruppo i ministri finanziari dell’area euro e l’impressione a Bruxelles è che alcuni di essi cercheranno di forzare la mano alla Commissione, perché applichi il prima possibile la massima fermezza al caso del bilancio italiano. Di certo nell’Eurogruppo gli schieramenti oggi vedono diciotto Paesi contro uno solo – quello sotto accusa – perché neanche la Grecia sta sostenendo la posizione italiana (del resto l’Italia lasciò da sola Atene durante la sua rivolta ai programmi europei nella prima metà del 2015).
Pochissimi giorni dopo, l’otto novembre, la Commissione Ue pubblicherà le proprie previsioni economiche e da lì dovrebbero emergere tutti i dubbi sui programmi dell’Italia: la crescita attesa sul 2019 sarà senz’altro molto sotto a quanto stima il governo, il debito pubblico sarà visto probabilmente in aumento rispetto a quest’anno (non in calo come si promette a Roma) e il deficit più alto del 2,4% annunciato fin qui; tutto ciò, naturalmente, sempre che nei prossimi giorni l’esecutivo di Giuseppe Conte non riveda i propri piani. Lo si capirà in ogni caso entro il 13 novembre, il termine perché l’Italia risponda all’ultima lettera di contestazioni da parte di Bruxelles.
Per adesso a Roma si è solo discusso di piccole concessioni alla Commissione europea, per esempio posticipando di uno o due mesi l’avvio di alcuni programmi di spesa. A Bruxelles però c’è un consenso molto deciso, almeno per adesso, per rifiutare i compromessi che non incidono sulla struttura dei costi sul bilancio italiano una volta entrato a regime. Salvo cambi di rotta a Roma o a Bruxelles, l’Italia è così a un passo dal tornare nella procedura di deficit eccessivo da cui era uscita nel 2013: diventa esecutiva entro dieci giorni dalla proposta attesa il 21 novembre a meno che una maggioranza rafforzata di governi europei – fatto improbabile – si pronunci contro.
La Commissione ha scelto di accelerare al massimo, anche perché attendere il consuntivo dei conti del 2018 avrebbe significato agire contro l’Italia solo a ridosso delle elezioni europee di maggio prossimo. A quel punto moltissimi degli attuali commissari Ue saranno già dimissionari e candidati all’Europarlamento, con un esecutivo di Bruxelles di fatto dimezzato e in uscita.
Poiché però queste procedure sono possibili solo sulla base di dati di consuntivo di anni passati, muovere adesso impone a Bruxelles di farlo sui dati del debito pubblico del 2017 lasciati in eredità dal governo Pd di Paolo Gentiloni. Su quelli si era scelto di soprassedere a primavera scorsa, perché allora la Commissione vedeva in Italia «qualche progresso nell’adottare e realizzare riforme strutturali che rafforzino la crescita». Questa precondizione viene meno invece alla luce dei piani di bilancio del governo attuale. Nella Commissione Ue si è consapevoli che una decisione sulla base dei dati del 2017 può prestarsi alla tesi, da parte dell’attuale governo, che la sanzione è colpa del precedente; a Bruxelles però in questo caso si dà più importanza alla continuità degli impegni dello Stato che ai cambi di stagione politica.
Qualunque cosa accada, il 21 novembre non dovrebbero invece scattare vere e proprie sanzioni, con la richiesta all’Italia di effettuare un deposito non fruttifero pari allo 0,2% del Prodotto interno lordo (3,5 miliardi di euro). Ma la possibilità legale esiste. E può presentarsi all’ordine del giorno in qualunque momento dei prossimi mesi, se il clima tra Bruxelles e Roma non migliora.