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 2018  ottobre 29 Lunedì calendario

Italia-Russia, una relazione speciale che l’Ue non capisce

Quando si discute delle sanzioni che sono state inflitte alla Russia dopo l’annessione dell’Ucraina, molti si chiedono, soprattutto a Bruxelles e a Strasburgo (le due capitali dell’Unione Europea), perché l’Italia sembri avere per Vladimir Putin una predisposizione favorevole e con il suo Paese un rapporto speciale. La ragione più ovvia è l’interscambio commerciale che nel 2013, l’ultimo anno prima delle sanzioni, ha toccato i dieci miliardi. Ma vi sono anche altre ragioni, non meno importanti.
Credo che occorra tornare ai primi accordi di Enrico Mattei con l’Urss, agli inizi degli anni Cinquanta, per l’acquisto di petrolio sovietico. Mattei era coraggioso e spregiudicato, ma nel clima della Guerra fredda non sarebbe probabilmente riuscito a superare le diffidenze americane se non avesse potuto contare sulla tacita approvazione di quella parte della Democrazia Cristiana ( Gronchi e Fanfani, tra gli altri, ma anche in molti casi Andreotti ) che aveva accettato la Nato con molte riserve e non smise mai di ricercare un dialogo con l’Unione Sovietica.
Il boom economico italiano, tra gli anni Cinquanta e Sessanta, favorì gli scambi commerciali. I due Paesi scoprirono di avere economie complementari. La Russia era ricca di materie prime e aveva grandi conglomerati industriali. Ma quando cercò di dare soddisfazione alla domanda di consumi individuali che stava crescendo nella società sovietica, Krusciov dovette ricorrere ad aziende straniere e trovò in Italia quelle che seppero colmare il vuoto più rapidamente. Il «capolavoro» fu l’accordo per la costruzione di una fabbrica di automobili, firmato a Mosca da Gianni Agnelli e Vittorio Valletta il 15 agosto 1966. La fabbrica fu consegnata e inaugurata tre anni dopo. Più tardi, all’epoca di Brezhnev, e ancor più negli anni della perestrojka, gli industriali italiani si attrezzarono per fornire impianti industriali «chiavi in mano».
L’aumento degli scambi fu dovuto paradossalmente anche alla esistenza in Italia del più grande partito comunista dell’Europa Occidentale. Molti fra i giovani che il Pci mandava ogni anno in Urss per il completamento dei loro studi, sposavano ragazze sovietiche e formavano famiglie bilingui che divennero un utile patrimonio umano per le aziende che volevano mantenere un rapporto con gli organismi economici dell’Unione Sovietica. Al Pci, nel frattempo, non spiaceva favorire gli scambi commerciali e trarne qualche profitto. Vi era poi a Mosca una Associazione Italia-Urss che organizzava eventi culturali, ma era anche una sorta di onesto sensale fra industriali italiani e l’apparato burocratico dello Stato sovietico. Il volume degli scambi fra l’Urss e la Repubblica federale di Germania superava quello italo-s0vietico, ma fra russi e italiani c’era un po’ più di calore. Un russo cercò di spiegarmelo, un giorno, dicendo: «Noi russi siamo napoletani congelati».