Il Messaggero, 29 ottobre 2018
Weinstein, il processo rischia di saltare
Un brivido di paura si sta diffondendo tra le decine di donne che aspettano di vedere Harvey Weinstein condannato in tribunale. A un anno dallo scoppio dello scandalo che lo ha spodestato dal trono di Hollywood sul quale sedeva, e che ha lanciato in tutto il mondo il movimento #Me Too, la procura di New York è incappata in una sequenza di errori che potrebbero invalidare il lavoro dei suoi investigatori, e mettere a rischio l’istruzione del processo. Le accuse di molestie e di ricatti sessuali contro Weinstein sono state lanciate da 87 donne, che vanno da celebrità come Gwyneth Paltrow, Cara Delevigne, Asia Argento, Mira Sorvino, fino a collaboratrici e assistenti di produzione.
Quasi tutti gli episodi denunciati sono caduti in prescrizione tranne tre di stupro, per i quali la procura di New York ha incriminato il produttore lo scorso maggio. All’inizio di ottobre uno dei legali che assistono Weinstein ha chiesto che la procura pubblicasse una lettera nelle quale c’è scritto che uno degli investigatori, Nicholas Di Gaudio, raccomandava ad una amica di una delle tre accusatrici ( la cantante e aspirante attrice Lucia Evans), di limitare le confidenze che era disposta a comunicare agli inquirenti. In particolare, il dettaglio che la Evans le avrebbe confidato: il suo rapporto con Weinstein era stato consensuale, in cambio di favori per la sua carriera.
La procura ha dovuto stralciare la posizione della Evans dall’istruzione, ma conta ancora sulla forza delle accuse delle altre due donne, rimaste finora anonime. Nel frattempo il governatore dello stato di New York, Andrew Cuomo, ha fatto riaprire le indagini sul trattamento che l’ex procuratore Cyrus Vance aveva riservato alle accuse lanciate nel 2015 dalla modella italo- filippina Ambra BattilanaGutierrez, la quale aveva raccontato di essere stata assalita da Weinstein in una stanza d’albergo di Manhattan. Vance aveva accantonato il fascicolo, e qualche mese dopo aveva ricevuto fondi elettorali dalla società di produzione di Weinstein. Lo stesso è accaduto alla riapertura dell’inchiesta ordinata da Cuomo, anche lui beneficiato dalle donazioni dell’ex magnate del cinema. Le speranze di chiudere l’inchiesta e chiedere il rinvio a giudizio restano ora sulle spalle delle altre due accusatrici, una che avrebbe subito un stupro forzato nel 2013, e l’altra che ha raccontato di essere stata costretta ad un rapporto orale nel 2016. In ballo non c’è più la reputazione di Weinstein, affossata dal disprezzo popolare e isolato nell’industria di Hollywood, ma l’aspettativa delle sue vittime e delle tante donne che si identificano con loro e di vederlo in manette, come è già accaduto a Bill Cosby.