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 2018  ottobre 29 Lunedì calendario

Biografia di Roberto Benigni

Roberto Benigni (Roberto Remigio B.), nato a Misericordia (Castiglion Fiorentino, Arezzo) il 27 ottobre 1952 (66 anni). Attore. Comico. Regista. Sceneggiatore. Due premi Oscar nel 1999 per La vita è bella, al miglior attore e al miglior film straniero (un terzo Oscar, alla miglior colonna sonora, andò a Nicola Piovani). «Ci sono due cose che mi piacciono proprio tanto nella vita. La seconda è viaggiare» • «Due luoghi se ne contendono la paternità: Castiglion Fiorentino, nell’aretino, dove è nato da genitori contadini, […] e Prato, dove è cresciuto e ha conseguito il diploma di ragioneria» (Giorgio Gosetti) • «È una famiglia, quella dei Benigni, che non è mai stata ricca, che non ha mai fatto grande fortuna, ma che si è sempre divertita tanto. “Dalla sua mamma Roberto ha preso l’intelligenza, da me la comicità”, esordisce Luigi Benigni, che nel 1958 è partito da Castiglion Fiorentino, nell’aretino, ed è arrivato a Prato in cerca di lavoro. Ha fatto l’operaio e il muratore per campare Roberto e le sue tre sorelle, Bruna, Albertina e Anna. Il "piccolo diavolo", che a dire della mamma Isolina è stato sempre un gran bravo bambino, era il minore e il più coccolato. […] Gigi e Isolina sono d’accordo: Roberto ha preso dal nonno materno, Francesco, grande animatore di feste di campagna e – come il nipote – abilissimo con la fisarmonica. […] “Babbo, raccontami di quando eri prigioniero”. Sembra quasi di vederlo, Roberto Benigni ragazzino, […] accoccolarsi per ascoltare quella storia […] di un ragazzo toscano, soldato di cavalleria, che, a diciannove anni, dall’Albania finisce prigioniero in un campo tedesco dove si lavora otto ore al giorno e si sopravvive con qualche bicchiere di latte, un po’ di cavolo lesso e una patata quando va bene. Luigi Benigni, che al figlio ha regalato tanta della sua ironia, non si è mai tirato indietro. A Robi, lo Spicciolo per gli amici del circolino di Vergaio [la frazione di Prato in cui si era trasferito da piccolo con la famiglia – ndr], Gigi ha ripetuto decine di volte la storia di quei lunghi ventuno mesi in Germania. A modo suo, naturalmente, facendolo anche divertire un sacco. “Si dormiva in quattrocento in uno stanzone sopra la fabbrica, ci dava gli ordini un tedesco alto un metro e mezzo. Gli avevo dato anche un soprannome: Pipetta. Con i miei figli l’ho sempre buttata sullo scherzo”, confessa oggi Luigi Benigni. “Però mi sono chiesto parecchie volte perché non ci davano un po’ di gas”. La grande storia d’amore che sta dietro La vita è bella probabilmente è cominciata qui. Dal racconto di babbo Luigi. […] A scuola, a catechismo, al circolo. Dovunque l’istrionesco Roberto ha sempre fatto e dato spettacolo. […] “A cinque anni saliva sul palco del circolo, nelle pause tra un ballo e l’altro, e raccontava barzellette”, dice Franco Casaglieri, classe 1952 come Benigni. […] E aggiunge: […] “Non eravamo indigenti ma certo non avevamo soldi. Eppure ci siamo sempre divertiti tantissimo. Facevamo la vita dei ragazzi di paese. Parrocchia, Casa del Popolo, strada”. […] E Benigni a scuola? Bravissimo, fin dalle elementari. Era come una carta assorbente, registrava tutto» (Caterina Fanfani). «Da piccoli eravamo poveri in maniera mitica. Ricordo la mia infanzia contadina, in Toscana, tutti – mio nonno, i miei zii, mio padre – intorno al focolare a raccontare storie, e le ombre che si creavano sul muro, proprio come nel mito della caverna di Platone. Poi si andava a letto, e io dormivo con quattro donne, le mie sorelle e mia madre, che sembrava la Madonna del Parto di Piero della Francesca, tanto che quando la vidi volevo rubarla. Non avevamo soldi per entrare a vedere i film, e così sbirciavamo dal tendone, d’estate, stesi in un campo di grano. […] A sei anni ho visto con le mie tre sorelle Ben Hur, ma alla rovescia perché eravamo dietro lo schermo, e il titolo era Ruh Neb. Il primo film visto al cinema è Lo specchio della vita di Douglas Sirk: era impossibile non piangere». «Da bambino, quando gli chiedevano cosa voleva fare da grande rispondeva sicuro: “Il santo”. Andò pure in seminario dai gesuiti a Firenze, ma l’esperienza durò solo pochi mesi: dopo l’alluvione del 1966 non ci tornò più» (Eugenio Arcidiacono). Frequentò quindi a Prato l’Istituto tecnico commerciale Datini. «Dopo il diploma, gli trovai subito lavoro in un’azienda. Ci rimase tre giorni, poi mi disse che quello non era proprio posto per lui» (la madre). Debuttò nel 1971 al Teatro Metastasio di Prato, in Il re nudo di Evgenij L’vovič Švarc. Quello stesso anno, al teatro della Società di mutuo soccorso di Rifredi (Firenze), la sua esibizione, giunta al termine di un serioso spettacolo politico, colpì in modo particolare due giovani comici toscani presenti tra gli spettatori, Luigi Delli e Carlo Monni. «Schizzò sul palcoscenico un giovane diciannovenne magro come un stecchino. Qualcuno dei 150 spettatori lo applaudì. “Bravo Roberto! Dicci…”, urlò ilare qualcuno che lo conosceva bene. “È Roberto Benigni, uno di Prato, lo chiamano ‘lo Spicciolo’ perché in tasca ci ha solo spicciolini”, spiegò un altro spettatore. E lui, lo Spicciolo, si mise a parlare d’altro rispetto alla noiosissima rappresentazione teatrale. Imbastì su due piedi una storia ilare e di puro non nonsenso: “Vengo dal Vietnam. Sono un reduce. Ma dove va l’America…?”. Tutti a ridere a crepapelle. […] Alla fine Benigni, Delli e Monni si ritrovarono insieme a bere al bar. “Diventammo subito amici. Ricordo che mise una mano sulla spalla del Monni. ‘Mah, come sei cambiato… Madonna, come sei cambiato!’. In realtà prima di allora Carlo e Roberto non si conoscevano”, ricorda Luigi. […] Cominciarono a frequentarsi. Pizzerie e teatri. […] Un’allegra brigata. Quasi da Amici miei. […] Successe tutto per caso nel 1972. Donato Sannini, un suo [di Delli – ndr] amico regista, nobile di grandi possibilità economiche, chiese a Luigi e a Monni di trasferirsi a Roma per recitare I burosauri. Ma, proprio mentre Delli stava per preparare le valigie per una probabile carriera da artista, gli arrivò una busta dal Comune di Firenze in cui gli notificavano di aver vinto il concorso di vigile urbano. “Furono per me giorni di grandi interrogativi. Vado a fare il vigile o l’attore? Decisi alla fine per la prima opzione, e dissi a Sannini di prendere Benigni al mio posto”» (Mario Lancisi). «Un primo tentativo, Benigni, che pensava di fare il cantante, l’aveva fatto con il Clan di Adriano Celentano, ma il provino era andato male. […] Non restava che fare il grande salto: andare a Roma. […] “Partirono in tre, Roberto, Donato Sannini […] e Carlo Monni”, racconta Casaglieri. “Monni e Sannini vennero a prendere Roberto a Vergaio e lo caricarono in macchina. Lui aveva la chitarra e si mise a cantare. Smise solo alle tre di notte, quando ormai erano arrivati a Roma da diverse ore”. […] La gavetta è stata dura» (Fanfani). «Sono gli anni del Beat ’72, la compagnia di Lucia Poli con cui si esibisce nelle cantine e nei teatrini. Qui incontra nel 1975 Giuseppe Bertolucci, il primo a intuirne tutte le potenzialità di poeta vernacolo e formidabile istrione» (Gosetti). «È il 1975 quando Bertolucci scrive per Benigni il monologo Cioni Mario di Gaspare fu Giulia, ed è subito un grande successo. Pochi sono, in realtà, i tratti che accomunano Mario Cioni a Benigni – l’origine contadina, la fede comunista, l’esuberanza verbale –, ma il Cioni è più aspro, indurito da una perenne condizione di insoddisfazione che lo accompagna ovunque, inaridito dagli insuccessi. Campione del turpiloquio, il Cioni viene presentato con successo nei teatri italiani per poi fare irruzione sul piccolo schermo nel varietà di Rai 2 Onda libera, dove compare su Televacca, rete immaginaria che interferisce con le frequenze della Rai» (Valentina D’Amico). «Scoperto il set nel 1976 con Berlinguer ti voglio bene, sempre di Giuseppe Bertolucci, Benigni non lo lascerà più, nonostante incursioni costanti in tv, nella canzone, nell’improvvisazione dal vivo. […] Nella sua chiave più stralunata e lunare Benigni appare in film di Paolo Pietrangeli, Costa-Gavras, Bernardo Bertolucci, Marco Ferreri, Sergio Citti. Ma è il suo secondo pigmalione, Renzo Arbore, a farne un personaggio inconfondibile, prima in tv con il personaggio del critico cinematografico ne L’altra domenica e poi al cinema con il contestatissimo Il Pap’occhio del 1983. Dello stesso anno è la sua prima regia: il film a episodi Tu mi turbi, seguito da un exploit forse non previsto nemmeno dai due protagonisti: Non ci resta che piangere, diretto e interpretato a quattro mani con Massimo Troisi nel 1984. Ormai popolarissimo, […] Roberto Benigni fugge lontano per non rischiare un’overdose di successo. Sbarca in America, chiamato da un altro irregolare di talento come Jim Jarmusch, che lo vuole sul set di Daunbailò del 1986. Dalla trasferta riporta in patria una diversa sicurezza come regista, l’amicizia con Walter Matthau e l’idea per un nuovo film, il primo scritto insieme a Vincenzo Cerami, che incontra grazie a Giuseppe Bertolucci. Nasce così Il piccolo diavolo, del 1988, cui seguiranno Johnny Stecchino (1991), Il mostro (1994), fino al trionfo de La vita è bella (1998), rivelato al Festival di Cannes (premio speciale della giuria da parte di un estasiato Martin Scorsese) e confermato all’Oscar l’anno dopo con sette candidature e tre premi (miglior regista, migliore attore protagonista e migliori musiche per Nicola Piovani). In mezzo, alcune incursioni d’attore, dal lunatico poeta de La voce della luna con Federico Fellini (1990) allo scatenato ispettore Clouseau del Figlio della Pantera Rosa di Blake Edwards (1993). I due film successivi, l’ambizioso Pinocchio del 2002 e il poetico La tigre e la neve del 2005 (sempre in coppia con Cerami), non hanno il successo dei film precedenti, anche perché abbandonano la vena comica che lo aveva sempre caratterizzato per essere di più al servizio della ricerca poetica, con un voluto azzeramento di ogni virtuosismo anche recitativo. Da allora Benigni ha lasciato il set (salvo sporadiche apparizioni come […] To Rome with Love di Woody Allen) per riabbracciare il teatro, con le spettacolari letture dantesche cominciate nel 2006, e la tv, con apparizioni-evento, fino alla celebrazione dell’unità italiana, per la quale ha scelto […] ancora una volta il palcoscenico sanremese» (Gosetti). Negli ultimi anni ha continuato a portare nei teatri e in televisione le sue interpretazioni dei «testi sacri» della letteratura (la Commedia, con Tutto Dante), della società civile (la Costituzione, con La più bella del mondo) e della religione (il Decalogo, con I dieci comandamenti), riscuotendo generalmente grande successo di pubblico e di critica, anche grazie a un afflato sempre più ecumenico e meno caustico • «Le risate e il tripudio per l’exploit del folletto Benigni furono fragorose al Dorothy Chandler Pavilion del Music Center di Los Angeles, dove la sera del 21 marzo 1999 si celebrò la 71esima edizione degli Academy Awards. La comica di Benigni al momento di ricevere il premio è rimasta scolpita negli annali degli Oscar, ed è tuttora ricordata con ilarità e affetto a Hollywood. Benigni saltò a piè pari sul palco, abbracciò e baciò Sophia Loren con la foga che lo contraddistingue, poi disse alcune parole nel suo inglese maccheronico. Dopo aver esclamato il suo esilarante "I want to kiss all of you in the mouth", si scusò dei suoi limiti: "Ho usato tutto il mio inglese nel discorso del primo premio e ho esaurito il vocabolario". Dichiarazioni entusiaste di amore per l’universo che faceva da settimane durante la campagna per l’Oscar, e che avevano spinto qualche spiritoso critico a chiedere: "Come si spegne Benigni?"» (Silvia Bizio) • «Sono tanti i momenti di grande schermo indimenticabili. La sfilata “modello Giuditta” del Piccolo diavolo; gli strepitosi duetti col grande Massimo Troisi in Non ci resta che piangere; i dialoghi tra Dio e Marx in Il Pap’occhio di Renzo Arbore; l’estetica del mafioso da ridere in Johnny Stecchino. […] I momenti benigneschi da antologia sul piccolo schermo sono innumerevoli. […] Due i filoni principali. Il primo è quello più dissacrante: ad esempio il super-bacio autenticamente appassionato, e lunghissimo, alla compagna di allora Olimpia Carlisi, sul palco di Sanremo 1980 (nello stesso Festival in cui diede scandalo chiamando il Papa "Wojtylaccio"); il bacio folle a Pippo Baudo, a Sanremo 2002; quello precedente a Silvio Berlusconi, ai Telegatti 1987; l’esibizione con Raffaella Carrà a Fantastico del 1991, con il famoso elenco di tutti i modi con cui indicare l’organo sessuale femminile. Il secondo filone invece è più politico: le mille gag su Berlusconi, ma anche la celebre intervista anti-Cavaliere rilasciata nel 2001 a Il fatto di Enzo Biagi, e che provocò l’editto bulgaro contro il giornalista ora scomparso. […] Il più straordinario momento "dal vivo" del comico toscano, quello che meglio di tutti resiste nel tempo e descrive un’epoca, è la celebre scena avvenuta alla manifestazione della Fgci per la pace che si svolse nel giugno 1983 sulla terrazza del Pincio, a Roma. Quella in cui lui prese in braccio Enrico Berlinguer. […] Ma anche nel mondo delle note Roberto ha dimostrato grande talento. Pensiamo ad esempio alla sua versione di Via con me (It’s Wonderful) di Paolo Conte, inserita nella colonna sonora di Tu mi turbi (1983). E poi […] il celebre Inno del corpo sciolto (proposta live e in tv negli anni Ottanta, e rifatta sul piccolo schermo nel 2011 con Fiorello). Anche in ambito musicale, dunque, la ricetta è quella tipica del personaggio: leggerezza e dissacrazione, alto e basso, attualità politica e sogno» (Claudia Morgoglione) • Sposato dal 1991 con l’attrice Nicoletta Braschi, sua musa ispiratrice nonché ideatrice e cofondatrice insieme a lui della casa di produzione Melampo Cinematografica, che ha prodotto tutti i film di Benigni da Il mostro in poi. «Per ogni suo film da regista, tranne Non ci resta che piangere (ma solo perché alla regia c’era anche Massimo Troisi), la Braschi compare ineluttabilmente in ogni pellicola. Tu mi turbi era il suo primo film e, tranne rari casi (Giordana, Virzì, Cristina Comencini), la Braschi ha lavorato soltanto con il marito. […] Benigni rischia di essere cinematograficamente ricordato come un’occasione persa. Il suo talento puro andrebbe preservato. In due modi. Dovrebbe essere diretto da un regista vero; e dovrebbe accettare che si può essere felliniani anche senza voler dimostrare che tua moglie è l’erede di Giulietta Masina» (Andrea Scanzi) • Da sempre di sinistra, ma senza tessere di partito. Ottimo rapporto con Matteo Renzi, con cui ha partecipato all’ultima cena di Stato offerta da Obama alla Casa Bianca (18 ottobre 2016), e che ha sostenuto in occasione del referendum costituzionale (4 dicembre 2016), schierandosi sul fronte del «sì» • «Mia mamma credeva in Dio, il mio babbo no. E io qualche giorno sono come il mio babbo e qualche giorno come la mia mamma» (a Giovanni Minoli) • Generalmente osannato dalla critica nostrana, conta tuttavia alcuni autorevoli detrattori, tra cui Giuliano Ferrara («È il classico furbacchione di regime»), che nel 2002, all’annuncio della sua partecipazione al Festival di Sanremo, dichiarò di volerlo bersagliare di uova, salvo poi scagliarle contro il proprio televisore durante la sua esibizione. Nel merito, tra l’altro, fu severamente censurato da Claude Lanzmann (1925-2018) per le invenzioni presenti ne La vita è bella («L’ho profondamente detestato») e da Vittorio Sermonti (1929-2016) per le sue letture dantesche («Mi dispiace lasciare il campo a questo tipo di divulgazione allegra. È un’operazione delicata, che non si può fare alla buona»). «È una straordinaria maschera comica (uno Stenterello nostro contemporaneo) e ha una grande forza comica, ma ha sempre bisogno di altri a “scriverlo”, a guidarlo. La mia convinzione è che egli sia stato un grande con Giuseppe Bertolucci e che sia diventato uno qualsiasi con Vincenzo Cerami. Certo con Cerami […] ha fatto più denari che con Bertolucci, ma ha perso originalità ed è diventato un altro dei mille santini comici e brillanti di cui il nostro ridanciano buonismo ha sempre bisogno» (Goffredo Fofi). «Forse il passaggio da “brillante promessa” a “solito stronzo”. O piuttosto il naturale corso degli eventi. È un fatto che il primo Benigni […] sia terminato con Cioni Mario. Poi c’è stato il Benigni “perfetto”, in equilibrio profano tra istinto (con Massimo Troisi), capacità attoriali (Daunbailò), apparizioni catodiche “patonziane” (con Baudo, con la Carrà, con tutti), e l’apice “impegnato” de La vita è bella, che ha coinciso con l’ascesa al rango equivoco di “venerato maestro” (per ultimare la progressione di Arbasino). Non è stato Cioni ad aver vinto l’Oscar, ma Benigni. Qui risiedono grandezza e condanna: la maturità migliore, l’apice indimenticabile. Non durevole, però. Il resto – il prosieguo, il presente – è terza vita. Guizzo occasionale, risata rassicurante, divulgazione dotta» (Scanzi). «Poetico qualsiasi cosa dica, qualsiasi argomento tratti, dal pisello di Pippo Baudo in su. Uno che ha la grazia di trasformare perfino la merda in sublime, come nel suo straordinario Inno del corpo sciolto» (Curzio Maltese). «Lui appartiene alla dinastia degli artisti-poeti, è ritagliato dalla stessa stoffa dell’endecasillabo. […] Avete presente la forza che ha l’endecasillabo nel raccontare e cantare i concetti più sublimi e alti, ma nello stesso tempo la capacità dell’intrufolarsi nel linguaggio quotidiano, nei dialoghi intimi? Pensate quante volte nel parlare usiamo endecasillabi nascosti: da “Dolce e chiara è la notte e senza vento” fino al quotidiano “Quanto mi piace il pane col prosciutto”. Una metrica mitica e colloquiale insieme, come la monarchia socialista. Roberto Benigni per me è anche e soprattutto questo: la capacità di coniugare la commozione per l’umana tragedia con i gesti minimi di una pausa pranzo, l’amore più dolce e siderale con la passione per i genitali delle femmine» (Nicola Piovani) • «L’incontro che ha cambiato la mia vita, la cosa che mi ha fatto desiderare di fare parte di questa bellezza è stato quello con Charlie Chaplin. La prima volta che l’ho visto al cinema sono uscito frastornato. Sono entrato a vedere La febbre dell’oro e sono uscito che ero un’altra persona. Ho visto qualcosa che non avevo mai visto. Mi sono chiesto come si faceva a fare ridere e a essere sempre poetici, come il Don Chisciotte. Ne La febbre dell’oro ho visto la furia e la grazia insieme, ho visto che accadeva qualcosa dentro di me». «Una cosa da ridere. Dopo la prima puntata de I dieci comandamenti papa Francesco mi ha chiamato alle otto di mattina, e a casa mia gli hanno detto: “Sta dormendo, richiami”. Vi immaginate? E lui ha richiamato! E mi ha detto: “Ma tu lo sai, il bene che fai?”. E io gli ho risposto: “Io? Ma lei fa il bene…”». «Morire non mi piace per niente. È l’ultima cosa che farò».