29 ottobre 2018
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Biografia di Diego Armando Maradona
Diego Armando Maradona, nato a Lanús (Buenos Aires, Argentina) il 30 ottobre 1960 (58 anni). Allenatore. Attualmente, tecnico dei Dorados de Sinaloa (dal 2018). Dirigente sportivo. Ex calciatore, di ruolo centrocampista, al suo apice nel Napoli (1984-1991) e nella Nazionale argentina (1977-1994). «Diego, fra Napoli e il mondo, vince tutto. Campionato mondiale, tre scudetti – uno con il Boca, due sotto il Vesuvio. Una Coppa Uefa, due coppe e due supercoppe nazionali con Barcellona e Napoli. Vince sei volte la classifica cannonieri, cinque in Argentina e una in Italia. Non vince un Pallone d’oro perché a quel tempo gli extraeuropei non potevano vincerlo. Nel 1995 glielo danno alla carriera» (Germano Bovolenta). «Se anche fossi a un matrimonio vestito di bianco e vedessi un pallone infangato venire verso di me, lo prenderei di petto senza pensarci» • «Se si conosce Buenos Aires, […] e soprattutto quel sud di Buenos Aires, rigorosamente povero, […] si capirà meglio il paesaggio urbano e umano in cui era cresciuto il mito Diego Armando Maradona, nato a Lanús il 30 ottobre 1960, quinto figlio di Dalma e Diego Maradona. Il padre disse appena lo vide: “Questo è un maschio: puro muscolo”» (Manuel Vázquez Montalbán). «Il barrio di Maradona a Buenos Aires era Villa Fiorito, negli anni ’60 una giungla corrotta. […] Tutti i dieci Maradona vivevano in una baracca di tre stanze in cui l’unica acqua corrente era quella che arrivava dal tetto (“Ti bagnavi di più dentro che fuori”). L’ossessione per il calcio sembra assolutamente innata; non ci sono memorie che la precedono, e nessun interesse a sfidarla. Quando il bambino Diego andava a fare le commissioni, lo faceva palleggiando con un’arancia. Quando aveva tre anni il cugino gli regalò la sua prima palla di cuoio (“Dormivo con la palla e l’abbracciavo al mio petto”). E quando si recò al suo primo provino, all’età di nove anni, era così avanti che l’allenatore credette veramente di avere davanti un nano» (Martin Amis). «Il quadrilatero composto dalle strade Gavilán, Juan Agustín García, San Blás e Boyacá racchiude uno stadio vecchio e arrugginito, casa dell’Argentinos Juniors, che oggi porta il nome di […] Diego Armando Maradona. È in questo fazzoletto di terreno che è cominciata la carriera del “Pibe de Oro”. Fu lì che per la prima volta Maradona attirò l’attenzione su di sé e il suo nome comparve in un articolo: nel 1971, quando si mise a palleggiare durante l’intervallo di una partita per il piacere del pubblico presente, e il giorno dopo il principale quotidiano argentino, El Clarín, parlò di un giovane fenomeno chiamato “Diego Armando Caradona”. Un errore di battitura o di stampa che nessuno avrebbe più ripetuto» (Antonio Moschella). «Anche la tv […] si era occupata di lui. Sábados circulares, un rotocalco dell’Atc, la televisione di Stato, aveva realizzato un servizio che ritraeva l’undicenne Dieguito impegnato a palleggiare davanti alla sua umile casa di Villa Fiorito. Al microfono del conduttore del programma, Pipo Mancera, una sorta di Pippo Baudo d’Argentina, quel bimbetto avrebbe rilasciato dichiarazioni incredibilmente premonitrici: “Il mio sogno è giocare un Mondiale e vincerlo”. […] Da quel 20 ottobre 1976, il mondo (del calcio) non sarebbe più stato lo stesso. […] Esordiva a 15 anni, 11 mesi e 20 giorni Diego Armando Maradona, […] stellina dell’Argentinos Juniors pronto a entrare nella storia. Nella storia non sarebbe entrato Rubén Aníbal Giacobetti, che in quella partita di campionato contro il Talleres di Córdoba sarebbe uscito alla fine del primo tempo per far spazio all’emergente Dieguito. L’Argentinos Juniors stava già perdendo in casa 0-1, e neppure l’ingresso del piccolo Maradona sarebbe servito a cambiare il risultato. Prese 4, quel giorno, Giacobetti nelle pagelle del settimanale sportivo El Gráfico. Un bel 7 invece per Maradona, sfacciato al punto da fare subito un tunnel al suo marcatore Juan Domingo Cabrera. Il giornalista Héctor Vega Onesime appioppò nel suo articolo tre aggettivi all’esordiente Diego che non hanno bisogno di traduzioni: “sorprendente”, “habilidoso” e “inteligente”» (Matteo Dotto). «Diventa subito una piccola stella, "más grande", "pibe de oro", "divino". Va al Boca Juniors e in Europa: Barcellona. Quando arriva al Barça, il "Don Balón" titola: "Boom Maradona: 15 miliardi che parlano, corrono e segnano". Lui incanta, ma la Spagna non lo ama. Un giocatore basco, Andoni Goikoetxea, gli sfascia la caviglia sinistra. Due ore di operazione, alcune viti, e il piede, il magico sinistro, ricostruito. Goikoetxea squalificato 18 giornate. A Napoli Corrado Ferlaino e Antonio Juliano lo corteggiano e riescono a prenderlo. Si dirà: una cifra pazzesca, più di 13 miliardi di lire per un piccolo re, triste e massacrato. Ma anche: una lucida, meravigliosa follia. Giovedì, 5 luglio 1984, ore 18.31, Fuorigrotta. "Buonasera, napolitani. Sono molto felice di essere qui con voi", dice Diego Armando Maradona, e palleggia dentro il grande San Paolo. La sua voce rimbomba da sette altoparlanti. Alla presentazione ci sono 70 mila tifosi, prezzo d’ingresso mille lire. Ha i pantaloni lunghi di una tuta grigia e una sciarpa azzurra. Calcia forte e il pallone va in cielo. Poi dice: "A Barcellona mi sentivo in catene. Napoli sarà la mia città". Comincia quella sera il romanzo di un’esistenza dorata e amara, dell’uomo e del suo numero. Il dieci. Napoli è la sua città e lui diventa Maradonapoli, spettacolo degli spettacoli» (Bovolenta). «Il genio si manifestò su un campo di calcio il 3 novembre. […] Punizione a due in area di rigore, quando ancora venivano fischiate, stagione 1985/86. Attacca il Napoli, che da un anno si gode le magie di Diego Armando Maradona. Non è ancora il fenomeno che conquisterà il mondo in Messico: comincerà a diventarlo quel giorno. Difende la Juventus, la squadra più forte d’Italia, abituata a vincere lo scudetto tutti gli anni e vogliosa di ricucirsi il tricolore sul petto dopo il colpo grosso del Verona di Bagnoli l’anno prima. A un quarto d’ora dal termine viene fischiata una punizione a due in area. Maradona sistema la palla alla sinistra di Tacconi, è all’altezza del dischetto, 10-12 metri. La barriera è vicina al punto di battuta, forse 7 metri, più probabilmente 5. Maradona parlotta con Pecci: “Eraldo, passamela un pochino indietro”. Il centrocampista lo prende per matto: “Diego, da qui non passa”. “Tu toccala, e non preoccuparti”. Il resto della squadra continua a protestare, Bruscolotti è inviperito, Maradona lo avvicina: “Beppe, tranquillo: faccio gol lo stesso”. Il resto è una parabola magica, la punizione divina (copyright Ottavio Bianchi). Diego disegna un cucchiaio nell’aria, una palombella, il pallone carico d’effetto scavalca la barriera di 6 juventini e gira fino ad insaccarsi tra palo e traversa, col povero Tacconi che rischia l’osso del collo per raggiungerlo. […] Napoli-Juventus di quel 3 novembre 1985 doveva essere la sfida tra Maradona e Platini. Segnerà anche un passaggio generazionale: il tramonto di Le Roi e l’alba del Pibe. È un gol dal significato simbolico fortissimo, per i tifosi azzurri. Si diceva in città che lo scudetto è un mare che non bagna Napoli. Qualche secondo e terzo posto in sessant’anni di storia, poca roba. Quel giorno, Maradona guida la rivoluzione calcistica, dice ad un intero popolo che vincere, sì, è possibile. Per i napoletani è come il gol di mano all’Inghilterra per un argentino: la rivincita della storia in un campo di calcio» (Marco Caiazzo). «In mezzo all’esperienza napoletana, ci fu il Mondiale del 1986, giocato e vinto da Diego con la famosa doppietta all’Inghilterra, con il primo gol siglato di mano (la famosa “mano de Dios”) e il secondo che fu definito il gol del secolo: Maradona partendo dalla sua metà campo riuscì a dribblare tutti i calciatori che gli si pararono davanti e a insaccare il raddoppio per l’Argentina. A Napoli, Diego vinse due campionati, una Coppa Italia, una Supercoppa italiana e una Coppa Uefa, facendo diventare quel Napoli il più vincente della storia» (Luca Pagano). «Ma il 17 marzo 1991 la coca spunta nella provetta del doping, dopo Napoli-Bari: un addetto dimentica di urinare al suo posto. Il 5 aprile abbandona Posillipo di notte e torna in Argentina. Più che vergogna, una fuga dal suo inferno. S’illudeva. "Non sei tu che cerchi la droga: è lei che cerca te", dirà in uno squarcio. Tocca i 143 kg, "il suo cuore è quello di un ottantenne", dice un medico a Punta del Este mentre lo scarica l’ennesima ambulanza. […] Dal 1991 cade e si rialza, avvilito e spergiuro, promette e ricade. Si era ripreso nel 1994, ultimo mondiale da calciatore. Ma l’urlo dissennato, quel faccione felice e feroce ripreso in tv dopo il gol alla Grecia, inquieta gli americani. Temono che sia l’involontario testimonial del cartello colombiano di Medellín: dimostra che con la coca si vince. Possibile? Due crocerossine, gelide come agenti federali, lo portano per mano dal campo alla sala doping. Verdetto annunciato: fuori. Quel mondiale poteva salvargli carriera e vita, peccato. È il 1994, the end, partita finita a 34 anni. Ricomincia uno dei suoi disperati tramonti. "Lo faccio per le mie figlie, voglio curarmi per la felicità mia e della mia famiglia, parto in cerca di aiuto", polemizza con il presidente argentino Menem, suo amico che però "non aiuta chi incappa nella droga". Non gli perdonano i tifosi del Boca Juniors lo scudetto perso con il quinto rigore fallito. Una polemica e via. Vola verso la sua nuova Lourdes, entra come in un santuario nella clinica svizzera di Montreux. Sembra guarito. […] Amici e Cuba, Fidel Castro e il medico personale Alfredo Cahe contro tutti e sempre accanto a lui, golf e cure all’Avana ma anche in Svizzera, si risolleva sempre fino al 18 aprile 2004, l’ultimo drammatico ricovero alla Sacre Coeur. Esce dalla sala di rianimazione e racconta in tv alla show-woman argentina Susana Giménez: "Ho visto la morte, ho visto El Barba". Che per lui è Dio. Ha pregato e prega ancora» (Antonio Corbo). Conclusa ufficialmente la sua carriera da calciatore nelle file del Boca Juniors il 25 ottobre 1997 (dopo essere passato per il Siviglia e per il Newell’s Old Boys), una volta ristabilitosi ha tentato senza successo di reinventarsi allenatore, guidando dapprima la Nazionale argentina, collassata dopo quattro reti («dure come quattro pugni di Alì») segnate dalla Germania ai quarti di finale dei Mondiali sudafricani del 2010, per finire poi negli Emirati Arabi e, da ultimo, in Messico • Tipico suo movimento di gioco la «rabona», «intreccio di gambe per fare di sinistro il cross che il manuale del calcio pretenderebbe di destro» (Edmondo Berselli) • «Nell’America del Sud si dice a volte, o si suppone, che la chiave per capire il carattere degli argentini si trovi nella loro valutazione dei due gol di Maradona nella Coppa del Mondo dell’86. Per il primo gol, battezzato “la mano di Dio”, Maradona era lievitato in maniera incredibile su un cross e aveva mandato la palla in porta con un intelligentemente nascosto colpo della mano sinistra. Ma il secondo gol, che arrivò pochi minuti dopo, fu uno di quelli che Bobby Robson chiama un “maledetto miracolo”: raccogliendo un passaggio da una punizione nella sua stessa area, Maradona, come in un’espiazione, chinò la testa e sembrò volesse aprirsi una strada attraverso tutta la squadra inglese prima di mandare a terra Shilton con una finta e di mandare la palla in rete. Ebbene, in Argentina è il primo gol, e non il secondo, quello che piace veramente. Per il macho argentino (o così dice almeno questa calunniosa generalizzazione), i modi furbi danno molta più soddisfazione di quelli corretti» (Amis) • Storicamente conflittuale il rapporto con Pelé, da sempre visto da Maradona come l’unico ostacolo alla sua unanime incoronazione quale miglior calciatore della storia. «Pelé cortese ed elegante, […] quello che Maradona non è mai voluto diventare: un uomo rispettabile. Pelé, che a Rio, quando Diego era ragazzo e doveva vincere il mondiale giovanile, gli disse: “Non ti credere mai il migliore: anche se lo sei, il giorno che ti ci sentirai smetterai di esserlo”. Ignorando che Diego proprio quello voleva: stare in cima, sentirsi in cima, godere senza misura di se stesso, come molti di quelli che sono nati in una famiglia numerosa, sotto un tetto di latta, due stanze e cucina» (Emanuela Audisio). «Per decenni ancora si discuterà se Maradona sia stato o meno il più grande giocatore mai esistito, accanto a Pelé e Di Stéfano. Incontestabilmente, è comunque il fuoriclasse più dotato di talento dell’ultimo quarto di secolo. Mai campione è stato così grande e insieme così scellerato: di certo, per quello che ha fatto vedere sul campo ha incarnato l’essenza stessa dello spettacolo applicato al gioco del calcio, piegandone la modernità degli schemi e del fattore atletico a un estro semplicemente inarrivabile» (Marino Bartoletti) • Due figlie dal ventennale matrimonio con Claudia Villafañe, finito nel 2004; altri tre figli (due maschi e una femmina) da altrettante relazioni, tra cui il calciatore Diego Armando Maradona Sinagra (1986), nato da una ragazza napoletana e riconosciuto dal campione solo nel 2007, dopo lunghe battaglie legali • Oggetto di autentica idolatria sia a Napoli sia in Argentina, dove è stata persino istituita la «Iglesia Maradoniana». «La Chiesa è stata fondata nel 2001 a Rosario, 200 km dalla capitale, da due aficionados del campione argentino. In quindici anni di vita ha raggiunto i 120 mila fedeli in tutto il mondo, dall’Argentina alla Cina. Il culto del “D10s” Maradona ha i suoi dieci comandamenti, celebra matrimoni e battesimi e ha il suo Natale il 30 ottobre, giorno di nascita del messia, e l’anno 1960 dà il via al calendario maradoniano. La Pasqua cade ogni 22 giugno, anniversario della “mano de Dios”» (Roberto Pellegrino) • «Guardo la sua faccia grassa e triste con un immancabile principio di groppo in gola. Gli occhi sono piccoli, tondi, neri. Le labbra tumide, i denti come perle rade nelle gengive alte, abbondanti. La piega amara della bocca testimonia l’angoscia di molte generazioni umiliate dagli uomini e mortificate dalla fame. Il collo scompare nell’unione fin troppo anticipata dei cucullari con gli sterno-cleido-mastoidei. Il petto è del bagonghi predestinato. L’addome è del bevitore di birra (qualche volta ricorda Bibendum). Le gambe sono corte e ipertrofiche… Morfologicamente, sembra uno sgorbio irrecuperabile: ma, non appena in lui si accende l’uranio, quel goffo anatroccolo assurge a cigno solenne. Allora devi escluderlo dal genere umano e trovargli d’urgenza una specie differente. Sia dunque il leone andino, e in definitiva re Puma» (Gianni Brera). «Maradona rappresenta l’avventura contro le convenzioni, è il caos contro l’ordine. Sniffava cocaina, andava per night, si dedicava a nottate folli sempre circondato dal suo pittoresco clan. Era ed è molto sudamericano, molto populista: per questo è amato dai populisti. I fan di Maradona sono anche quelli che adorano il subcomandante Marcos, Diego è visto come il difensore dei deboli contro lo strapotere dei ricchi» (Edmondo Berselli) • «"Il gol più bello è quello contro l’Inghilterra ai Mondiali, dove scartai tutti fino ad arrivare in porta, ma anche i gol alla Juve piacevano tanto ai napoletani". E quello di mano? "Non ho mai segnato con le mani e non lo farei mai. Quella fu la mano di Dio e vinse il migliore, con l’altro gol fantastico"» (Tommaso Cerno) • «Povero, vecchio Diego. Abbiamo continuato a dirgli per tanti anni “Sei un dio”, “Sei una stella”, e ci siamo scordati di dirgli la cosa più importante: “Sei un uomo”» (Jorge Valdano).