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 2018  ottobre 29 Lunedì calendario

Al via gli stress test 2018

Quella che inizia oggi per le banche italiane sarà una settimana cruciale. Venerdì 2 novembre, il giorno che in Italia si commemorano i morti, l’Eba, l’autorità europea di controllo, ha fissato l’appuntamento con i nuovi «stress test». Un passaggio cruciale che servirà, soprattutto al mercato, a capire qual è il grado di resistenza dei principali istituti italiani nei possibili scenari di crisi.
Gli stress test 2018 condotti dall’autorità europea, pur se più duri rispetto a quelli del 2016, non dovrebbero riservare grandi sorprese per le banche italiane. La situazione economica italiana e i singoli bilanci (fine 2017) sui quali simulare le due situazioni di difficoltà (scenario avverso e normale), rispetto ad allora, sono infatti molto migliorati anche se, nelle ultime settimane, il quadro è cambiato in peggio. L’anello debole della catena sono soprattutto Mps e Carige. Per Credit Suisse uno spread a 338 punti sarebbe tollerabile per le prime cinque banche italiane (Unicredit, Intesa, Ubi, Banco Bpm e Bper) ma non per il Monte, che vedrebbe il suo Cet1 – l’indice di solidità patrimoniale – sotto i minimi richiesti dalla Bce.
Rocca Salimbeni, comunque, ritiene che «anche con un incremento dello spread a 315 punti base, il Cet1» dell’istituto «si manterrebbe ben al di sopra dei requisiti minimi srep» (fissati al 9,44%). Un range in cui presumibilmente potrebbe rientrare anche Carige. Il governo, anche per voce del ministro dell’Economia, Giovanni Tria, si è detto pronto ad intervenire in caso di necessità. Tria non ha però voluto rivelare in che modo Palazzo Chigi e Tesoro potrebbero ricapitalizzare le banche che si dovessero trovare a corto di fiato.
IL PASSAGGIO
Il passaggio per il governo è comunque stretto. Anche perché tra Movimento Cinque Stelle e Lega ci sono visioni diverse su come eventualmente intervenire a sostegno del sistema bancario. Il Carroccio sarebbe orientato ad utilizzare i circa 15 miliardi di euro residui del fondo di salvataggio delle banche attrezzato dal precedente governo. L’allora ministro Pier Carlo Padoan, aveva finanziato il fondo con 20 miliardi, ma circa 5 sono già stati utilizzati per il primo salvataggio del Monte dei Paschi.
Ma il fondo non può essere utilizzato nel 2019, perché le risorse sono impegnate e a fine anno quello che rimane andrà, con apposito decreto ministeriale, destinato al fondo per l’ammortamento dei titoli di Stato. Se dunque il governo volesse mettere in campo un intervento simile per supportare eventuali nuovi istituti in difficoltà dovrebbe partire da zero, trovando le risorse necessarie e, soprattutto, un accordo con l’Europa. Ma il problema principale è politico.
Il Movimento Cinque Stelle è contrario all’utilizzo di quei soldi per aiutare ancora una volta gli istituti, dopo che per un’intera legislatura ha gridato contro i salvataggi dello Stato riservati ai «banchieri». I grillini preferirebbero battere la via delle fusioni, magari mettendo in gioco anche società controllate direttamente o indirettamente dallo Stato, come il Bancoposta.
IL PARACADUTE
Dunque, siccome le parole pesano, il mercato guarda con curiosità non senza scetticismo ai «tanti modi per ricapitalizzare le banche» evocati da Di Maio, dopo che Salvini aveva fatto intendere che fosse pronto un paracadute pubblico ad ampio raggio. Ieri è toccato al viceministro dell’Economia, Massimo Garavaglia intervenire: «Siamo convinti che il sistema sia molto solido, e che quindi l’intervento non sia necessario e speriamo che la febbre passi presto. Ove fosse necessario intervenire, lo si farà e in fretta». Secondo gli analisti di Equita, il framework normativo da utilizzare per le banche potrebbe essere quello della ricapitalizzazione precauzionale evitando il bail-in con il ricorso alla direttiva europea BRRD (Bank Recovery and Resolution Directive) che consentì di far fronte a deficit patrimoniali risultanti dallo stress test degli istituti greci. Non proprio il migliore dei precedenti.